(A cura di Manuel Capurro)
Il curatore che agisce con l’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori lo fa sostituendosi non agli autori dell’illecito, cioè agli amministratori, ma alla società che nei confronti degli amministratori avrebbe potuto agire. Pertanto, se gli amministratori hanno posto in essere una condotta concorrente con quella di un terzo (nel caso di specie alcuni istituti di credito che avevano abusivamente effettuato concessione di credito diretta a mantenere artificiosamente in vita una impresa decotta), quest’ultimo ben potrà rispondere nei confronti della società e, dopo la dichiarazione di fallimento, del curatore in rappresentanza della massa.
L’azione in questione, tuttavia, non è un’azione di massa, ma una azione finalizzata a tutelare un credito risarcitorio facente capo alla società fallita che non attiene a diritti o beni di natura strettamente personale ex art. 46, comma 1, n.1, legge fall. e che, quindi, rientra tra “i rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento” (art. 43, comma 1, legge fall.) oggetto di controversie nelle quali sta in giudizio il curatore in sostituzione del soggetto fallito.
Si tratta, pertanto, di una domanda che il fallito avrebbe potuto proporre prima della dichiarazione di fallimento non coperta quindi dalla decisone delle S.U. della Corte di Cassazione n. 7029/2006, secondo cui il curatore fallimentare non è legittimato a proporre, nei confronti del finanziatore responsabile, l’azione da illecito aquiliano per il risarcimento dei danni causati ai creditori dall’abusiva concessione di credito diretta a mantenere artificiosamente in vita una impresa decotta, suscitando così nel mercato la falsa impressione che si tratti di impresa economicamente valida, sul presupposto, da un lato, che la funzione del curatore è quella di conservare il patrimonio del debitore, come sua garanzia generica attraverso l’esercizio delle così dette azioni di massa, dirette ad ottenere la ricostituzione del patrimonio predetto e caratterizzate dal carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari del suo esito positivo dall’altro, che siffatta legittimazione ad agire, sostitutiva dei singoli creditori, non sussiste in presenza di azioni esercitabili individualmente, in quanto dirette ad ottenere un vantaggio esclusivo e diretto del creditore nei confronti di soggetti diversi dal fallito, come avviene mediante le azioni di cui agli artt. 2395 e 2449 c.c..
Nel caso in questione, tuttavia, la Curatela secondo il Tribunale di Prato non esercita un’azione volta a tutelare il singolo creditore, bensì un’azione fondata sul concorso delle Banche convenute nella responsabilità dell’amministratore nei confronti della società.
(Tribunale di Prato, Sentenza n. 152/2017)