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– a cura di Filippo Capurro – Luglio 2019 –

Il caso che segnalo oggi, trattato dalla Corte d’Appello di Torino 30/05/2019, riguarda un licenziamento collettivo di alcuni lavoratori occupati in un appalto, da parte dell’impresa subentrante.

Il vizio del licenziamento era procedurale e consisteva nella violazione dell’art. 4, comma 9, L. 223/1991, che stabilisce l’obbligo del datore di lavoro di comunicare agli uffici del lavoro, entro sette giorni dai recessi, l’elenco dei lavoratori collocati in mobilità con l’indicazione per ciascuno di loro del nominativo, del luogo di residenza, della qualifica, del livello di inquadramento, dell’età, del carico di famiglia nonché con puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta.

Il datore di lavoro aveva posto in essere tale adempimento oltre tale termine e addirittura dopo l’impugnazione dei licenziamenti.

La sentenza ha affermato, in linea con la giurisprudenza, che il superamento del menzionato termine determina l’inefficacia del recesso e che esso ha carattere perentorio.

Giacchè le lavoratrici ricorrenti erano assoggettate alla disciplina del d.lgs. 23/2015 sul contratto a tutele crescenti – in quanto assunte successivamente al 06/03/2019 – è stata applicata a questo vizio la tutela indennitaria prevista dall’art. 3, comma 1, richiamata dall’art. 10 per i vizi procedurali dei licenziamenti collettivi. 

Ma la parte interessante della sentenza riguarda l’affermazione per la quale, ove il rapporto di lavoro sia assoggettato alla disciplina del d.lgs. 23/2015, l’indennizzo va calcolato tenendo conto dell’intera anzianità maturata da lavoratori impiegati nell’appaltato presso i diversi datori di lavoro succedutisi nel tempo.

Sul punto l’art. 7 stabilisce infatti che: “Ai fini del calcolo delle indennità e dell’importo di cui all’articolo 3, comma 1, all’articolo 4, e all’articolo 6, l’anzianità di servizio del lavoratore che passa alle dipendenze dell’impresa subentrante nell’appalto si computa tenendosi conto di tutto il periodo durante il quale il lavoratore è stato impiegato nell’attività appaltata. 

Evidenzia la sentenza in relazione a tale norma che “La ratio di tale previsione è di agevole comprensione essendo ovvio che le finalità di tutela perseguite tramite un siffatto regime risarcitorio, modulato in relazione all’anzianità di servizio del lavoratore, non vengono certamente meno in considerazione della specificità dello strumento utilizzato (appalto) per modificare il soggetto titolare del rapporto di lavoro.”

A proposito dell’applicazione di questa norme anche ai licenziamenti collettivi affermano poi i giudici della Corte d’Appello di Torino che:

  1. “E’ di tutta evidenza che, nell’ipotesi di avvicendamento delle imprese in appalti, il legislatore ha chiaramente disposto che in caso di applicazione del regime di cui all’art.3, co. 1 (senza alcuna possibilità di distinguere tra licenziamento individuale e collettivo), il calcolo dell’indennità risarcitoria non è commisurata solo dell’anzianità di servizio maturata presso l’ultima impresa che ha intimato il licenziamento, occorrendo invece tenere conto di tutto il periodo durante il quale il lavoratore e’ stato impiegato nell’attività appaltata. 
  2. “Non è pertanto condivisibile neppure l’interpretazione avanzata in via subordinata dall’appellante, volta cioè a sostenere che, quanto meno, il computo dell’anzianità di servizio nell’attività appaltata deve essere operato in relazione all’ultimo cambio di gestione, limitando quindi la sommatoria all’anzianità di servizio maturata presso l’ultima azienda uscente e quella subentrante che ha intimato il licenziamento. La lettera della legge è inequivoca nel prevedere il computo di tutto il periodo durante il quale il lavoratore e’ stato impiegato nell’attività appaltata. E’ poi sufficiente osservare che la relazione del Governo, che illustra la normativa in esame, nulla aggiunge al dato testuale di dette disposizioni.”

Scarica Corte d’Appello di Torino 30 maggio 2019 n. 316, pres. Fierro rel. Visaggi

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