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Corte d’Appello di Milano 17/10/2022 n. 664 Mantovani – Vignati

Questa causa riguardava una procedura esecutiva relativa a una condanna al risarcimento del danno ex art. 18, comma 1, L. 300/1970, a favore di un dirigente nostro assistito, reintegrato a seguito di un licenziamento ritorsivo.

In sede di giudizio di opposizione al precetto, chiedevamo che la sottrazione dell’aliunde perceptum dalle retribuzioni globali di fatto (relative al periodo dalla data del licenziamento a quella dell’effettiva reintegrazione) non incidesse sul minimo di legge delle cinque mensilità.

Il giudice di primo grado rigettava la nostra domanda, ritenendo che la pronuncia non avesse menzionato detto minimo e che avremmo dovuto, se mai, impugnare questa carenza in appello.

Senonché soccorrono i principi generale per cui: “Il titolo esecutivo giudiziale, ai sensi dell’art. 474, secondo comma, n. 1, cod. proc. civ., non si identifica, né si esaurisce, nel documento giudiziario in cui è consacrato l’obbligo da eseguire, essendo consentita l’interpretazione extratestuale del provvedimento, sulla base degli elementi ritualmente acquisiti nel processo in cui esso si è formato. Ne consegue che il giudice dell’opposizione all’esecuzione non può dichiarare d’ufficio la illiquidità del credito, portato dalla sentenza fatta valere come titolo esecutivo, senza invitare le parti a discutere la questione e a integrare le difese, anche sul piano probatorio.” (Cass. SSUU 02/07/2022 n. 11066)

Sicché, in definitiva “Ad avviso del Collegio, gli argomenti critici posti dall’appellante sono esatti e appropriati” e l’esecuzione ha potuto effettuarsi come da noi richiesto”.