– a cura di Filippo Capurro – Novembre 2022 –
Corte d’Appello di Torino 05/08/2022 n. 315 Pres. e Rel. Milani
La sentenza che qui segnalo solleva una severa riflessione, più che altro in ragione della sua correttezza e coerenza concettuale, che fa da vivido sfondo, così sottolineandolo, a un brutto pasticcio ormai infiltratosi nella disciplina dei licenziamenti.
La pronuncia afferma che, in caso di licenziamento in malattia prima del superamento del periodo di comporto, in regime di “tutele crescenti”, deve applicarsi quale rimedio sanzionatorio, la tutela reintegratoria di cui all’art. 2, d.lgs. 23/2015 e non quella indennitaria di cui al successivo art. 3, comma 1.
La conclusione muove dalla natura del vizio che è di nullità, per quanto insegnato dalle Sezioni Unite (Cass. SS.UU. 22/05/2018 n.12568) secondo le quali “Il licenziamento intimato per il perdurare delle assenze per malattia od infortunio del lavoratore, ma prima del superamento del periodo massimo di comporto fissato dalla contrattazione collettiva o, in difetto, dagli usi o secondo equità, è nullo per violazione della norma imperativa di cui all’art. 2110, comma 2, c. c.”.
Di conseguenza il vizio è riconducibile agli “altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge” (ambito disciplinato dall’art. 2, d.lgs. 23/2015) e non invece nelle altre ipotesi in cui “non ricorrono gli estremi del licenziamento” (di cui all’art. 3, comma 1).
Fino a qui niente da dire, se non che l’inquadramento concettuale del vizio stona con al soluzione optata dall’art. 18, comma 7 (che rinvia al comma 4), L. 300/1970, applicabile per i lavoratori assunti fino al 07/03/2015, che riconduce invece il vizio alla tutela reintegratoria attenuata (reintegrazione più risarcimenti nel limite delle 12 mensilità) e non a quella c.d. piena (di cui al comma 1) che sarebbe invece il naturale approdo del vizio di nullità.
Tuttavia il problema si fa più significativo se si considera la soluzione recentemente proposta dalla giurisprudenza per lo stesso vizio (licenziamento in malattia) ma in riferimento alle imprese sotto quota (fino a 15 dipendenti) per gli assunti ante Jobs Act (ossia fino al 07/03/2015).
Infatti, secondo Cass. 16/09/2022 n. 27334 , il licenziamento intimato in malattia prima del superamento del periodo di comporto, e quindi in violazione dell’art. 2110, comma, 2 cc, è nullo e – quale che sia il numero dei dipendenti occupati – la tutela reintegratoria attenuata di cui al sopra menzionato art. 18, commi 4 e 7 L. 300/1970. Una scelta questa assolutamente arbitraria – in quanto non normata – e incongruente rispetto al vizio di nullità che potrebbe essere sanzionato più propriamente con la tutela reale piena di cui all’art. 18, comma 1, L. 300/1970 o, forse, ma non senza qualche dubbio nell’attuale contesto normativo, con la tradizionale tutela reale di diritto comune.
Sul punto rinvio a “Licenziamento per malattia e datori di lavoro sotto quota: una pronuncia emblematica dello stato di un dibattito ormai divenuto assurdo” .
E se proprio non vogliamo farci mancare niente, domandiamoci come dovrebbe essere disciplinato il vizio nelle imprese sotto quota, per gli assunti Jobs act. Io direi sempre applicando la tutela reintegratoria dell’art. 2, d.lgs. 23/2015, giacché l’art. 9 non lo deroga.
Altro che rave party!
Insomma un ulteriore snodo, quello della sentenza della Corte d’Appello di Torno, che ci informa della necessità di ripensare l’intera normativa dei licenziamenti in termini complessivi sulla base di pochissimi ma fermi principi: effettività della tutela, uguaglianza (che sottende che le diversificazioni siano ragionevoli e attualizzate al sistema economico odierno) e, mi sia consentito, anche semplicità di applicazione. Un monito peraltro già in parte pervenuto da Cort. Cost. 183/2022 (sull’art. 9, comma 1, d.Lgs. 23/2015).