– a cura di Angelo Beretta – Maggio 2019 –
Sempre più spesso la giurisprudenza è chiamata ad intervenire su casi di violazione dell’obbligo di fedeltà da parte del lavoratore.
La Suprema Corte, con alcune sentenze pubblicate nel corso degli ultimi mesi che qui segnaliamo, ci viene in aiuto per delineare i contorni di tale obbligo e comprendere pertanto:
- cosa il datore di lavoro possa pretendere;
- quali condotte possano essere poste in essere da parte del lavoratore.
Partiamo dalla definizione: ai sensi dell’orientamento della Corte di Cassazione (8711/2017; 14249/2015; 144/2015) l’obbligo di fedeltà nei confronti del datore di lavoro (art. 2105 cod. civ.) integrato dai generali doveri di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ., deve intendersi non soltanto come mero divieto di abuso di posizione attuato attraverso azioni concorrenziali e/o violazioni di segreti produttivi, ma anche come divieto di condotte che siano in contrasto con i doveri connessi con l’inserimento del dipendente nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa o che creino situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della medesima o che siano, comunque, idonee a ledere irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto.
Partendo da questa definizione, la Corte di Cassazione (sentenza 7425/2018) ha ritenuto legittimo il licenziamento di un autista di autobus che – pur essendo assente per congedo parentale – aveva prestato la propria attività lavorativa a favore di un altro vettore a cui il datore di lavoro stesso aveva affidato in appalto il servizio. La Suprema Corte ha rilevato che l’abuso della facoltà di non rendere la prestazione lavorativa in favore del datore di lavoro non fosse minimamente attenuata dal fatto che la prestazione lavorativa fosse stata resa in forma gratuita (per mero spirito di liberalità nei confronti del secondo vettore).
Allo stesso modo – e per considerazioni molto simili – è stato considerato legittimo anche il licenziamento di un dipendente che in costanza di infortunio era stato sorpreso a guidare automezzi (muletti) e a svolgere attività di carico e scarico di cerchi in lega per autovetture. Nel caso di specie la Suprema Corte (sentenza n. 7641/2019) oltre a rilevare una palese violazione dell’obbligo di fedeltà nei confronti del datore di lavoro ha accertato l’esistenza di un secondo motivo di licenziamento: la compromissione dello stato di salute in ragione del quale il lavoratore era assente dal lavoro (peraltro con imputazione diretta al proprio datore di lavoro trattandosi di infortunio).
La violazione del dovere di fedeltà è stato inoltre riscontrato (con dichiarazione di legittimità del licenziamento) anche nel caso di un lavoratore subordinato con livello manageriale (quadro) che allo stesso tempo era socio al 10% e consigliere d’amministrazione di un’azienda diretta concorrente del proprio datore di lavoro (sentenza n. 10239/2019). Nel caso di specie la violazione dell’obbligo di fedeltà si estrinseca nell’essersi esposto – il lavoratore – ad una situazione di potenziale conflitto di interessi.
Vale la pena evidenziare inoltre come non sia stata considerata esimente la circostanza che il lavoratore si fosse dimesso dalla carica societaria e recesso dalla carica di socio prima dell’apertura della procedura disciplinare. Per i giudici di merito (confermati dai giudici di legittimità) il conflitto di interessi risiedeva:
- da una parte nel fatto che il lavoratore, proprio in considerazione del proprio livello manageriale, avesse accesso a notizie su prezzi praticati e clienti e che tali circostanze potessero essere “condivise” con la società concorrente;
- dall’altra nel fatto che il lavoratore avesse taciuto al proprio datore di lavoro di aver costituito una società potenzialmente concorrente
Interessante è inoltre la sentenza n. 11237/2019 relativa alla violazione del dovere di fedeltà in connessione con la violazione del dovere di esclusività della prestazione lavorativa. Nel caso di specie si tratta di un dipendente pubblico (funzionario dell’Agenzia delle Entrate) che aveva svolto una consulenza fiscale a pagamento a favore di un privato (il quale agiva contro il proprio datore di lavoro). Ben consapevoli del fatto che il dipendente pubblico ha una specifica disciplina in merito al dovere di esclusività della prestazione lavorativa (art. 53 D.Lgs. 2001 e le disposizioni degli specifici CCNL applicati ai rapporti di lavoro), il principio è sicuramente applicabile anche alla prestazione lavorativa a favore dei datori di lavoro privato.
Nell’ambito del dovere di fedeltà, il prestatore di lavoro ha un generico dovere di esclusività della prestazione, che comporta il divieto di svolgere la medesima prestazione lavorativa a favore di un soggetto diverso dal proprio datore di lavoro.