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Corte Costituzionale 19 aprile 2018 n. 77

Il principio generale per quanto riguarda le spese di giudizio è che chi perde la causa paga i costi sostenuti dell’avversario.

Dal 2014 il giudice poteva derogare a questa regola solo in due ipotesi nominate ossia l’“assoluta novità della questione trattata” e il “mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti”.

Dopo la sentenza della Corte Costituzionale dell’altro giorno la deroga alla regola generale potrà avvenire anche per «gravi ed eccezionali ragioni», come avveniva prima della riforma del 2014.

Quindi, in sostanza, il giudice avrà maggior agio per sollevare il lavoratore dalle spese di causa se questi perde il giudizio.

Il risultato sarà un probabile aumento del contenzioso, considerando che il rischio di un esborso economico che  limitava le propensione dei lavoratori di rivolgersi al giudice è ora assai più modesto.

La correttezza della decisione della Corte Costituzionale sta, a nostro giudizio, anche nel fatto che, nel processo del lavoro, sovente la prova è invertita. Ad esempio, in una causa di impugnazione di licenziamento, l’onere della prova incombe sul datore di lavoro e non sul lavoratore che ha avviato il contenzioso. Come farebbe allora il lavoratore a prevedere l’esito del giudizio se non sa quali prove saranno offerte? Come gli si può allora attribuire la colpa di una soccombenza e quindi condannarlo alle spese?

Riteniamo quindi la sentenza giusta ed equilibrata, ma auspichiamo che i giudici omettano di compensare le spese nei casi in cui non ve ne siano ragioni. Ad esempio nell’ipotesi di una lite avviata dal lavoratore in mala fede.

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