ScaricaStampa

Cass. 11 luglio 2016 n. 14103           

In tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, dovendosi ritenere determinante, a tal fine, l’influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che, per le sue concrete modalità e per il contesto di riferimento, appaia suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento e denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza.

La Suprema Corte ha ribaltato la decisione della Corte d’appello di Ancona, stabilendo l’illegittimità del licenziamento irrogato al dipendente della Asl, nonostante avesse prestato attività lavorativa presso strutture private senza autorizzazione, durante l’aspettativa non retribuita.

Secondo i giudici di legittimità, infatti, non è possibile fondare il giudizio di gravità dell’inadempimento sulla sola base della reiterazione della condotta, senza verificare il danno e il pericolo per il datore: “non è sufficiente, per ritenere giustificato un licenziamento, che una disposizione di legge sia stata violata dal lavoratore o che un obbligo contrattuale non sia stato dal medesimo adempiuto, occorrendo pur sempre che tali violazioni siano di una certa rilevanza e presentino i caratteri in precedenza enunciati”, ossia che il “notevole inadempimento degli obblighi contrattuali” sia tale da “non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro per essersi irrimediabilmente incrinato il rapporto di fiducia”.