di Manuel Capurro – © RIPRODUZIONE RISERVATA
Ne bis in idem: la Corte di Giustizia Europea si pronuncia sulla disciplina del cumulo tra sanzioni amministrative e penali prevista dall’ordinamento italiano nelle ipotesi di manipolazione del mercato
La Grande Sezione della Corte Europea di Giustizia è tornata sulla questione della illegittimità del cumulo di sanzioni amministrative e penali prevista dall’ordinamento italiano nelle ipotesi di manipolazione del mercato, con una sentenza emanata lo scorso 20 Marzo nella Causa C-537/16.
Il procedimento, che origina da un rinvio pregiudiziale della Corte di Cassazione, ha ad oggetto le note vicende di un finanziarie romano accusato di manipolazione del mercato borsistico italiano per fatti accaduti nel 2007 con riferimento ad una tentata scalata sul Gruppo Rizzoli Corriere della Sera.
Il Finanziere veniva condannato con sentenza di patteggiam
ento del Tribunale di Roma in data 10 dicembre 2008, a una pena di quattro anni e sei mesi di reclusione sulla base dell’articolo 185 del TUF. Tale pena veniva successivamente ridotta a tre anni ed era poi estinta per indulto.
Nel frattempo la CONSOB avviava una parallela procedura ai sensi dell’articolo 187-ter del TUF per l’applicazione al finanziare romano, per la medesima violazione, di una sanzione amministrativa (pecuniaria) che portava alla comminazione di una sanzione amministrativa di Euro 10,2 milioni, successivamente ridotta dalla Corte di Appello di Roma ad Euro 5 milioni.
La vicenda approdava, quindi, avanti alla Corte di Cassazione la quale, dubitando che l’articolo 187-ter del TUF nella parte in cui consentiva il cumulo delle sanzioni amministrative con quelle penali, fosse conforme all’art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (“CEDU”), che fa espresso divieto di bis in idem (cioè di sottoporre una persona a due procedimenti penali per la medesima violazione), sollevava la questione di costituzionalità della norma che veniva, tuttavia, respinta dalla Corte Costituzionale con sentenza 102/2016.
A questo punto la Corte di Cassazione si rivolgeva alla Corte Europea di Giustizia sollevando una questione pregiudiziale vertente sull’interpretazione dell’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, letto alla luce del già menzionato articolo 4 del protocollo n. 7 della CEDU.
Nella propria decisone, la Corte Europea di Giustizia, dopo un’accurata ricostruzione del contesto normativo e della vicenda sottoposta al suo esame, e dopo avere rilevato che le sanzioni amministrative previste dall’articolo 187-ter del TUF devono essere considerate come aventi natura penale per il loro carattere oggettivamente afflittivo, osserva che
“[a]lla luce dell’importanza che la giurisprudenza della Corte attribuisce, al fine di realizzare (…) la lotta contro le violazioni del divieto di manipolazioni del mercato (v., in tal senso, sentenza del 23 dicembre 2009, Spector Photo Group e Van Raemdonck, C-45/08, EU:C:2009:806, punti 37 e 42), un cumulo di procedimenti e di sanzioni di natura penale può essere giustificato qualora tali procedimenti e tali sanzioni perseguano, ai fini del conseguimento di un simile obiettivo, scopi complementari riguardanti, eventualmente, aspetti diversi del medesimo comportamento illecito interessato (…)” (punto 46 della decisone – grassetto aggiunto).
La Corte aggiunge, tuttavia, che
“risulta che il fatto di proseguire un procedimento di sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale ai sensi di tale articolo 187 ter eccederebbe quanto strettamente necessario per conseguire l’obiettivo di cui al punto 46 della presente sentenza, nei limiti in cui la condanna penale pronunciata in via definitiva, tenuto conto del danno causato alla società dal reato commesso, sia idonea a reprimere tale reato in maniera efficace, proporzionata e dissuasiva (…)” (punto 59 della decisone – grassetto aggiunto).
La Corte aggiunge poi che
“con riferimento al cumulo di sanzioni autorizzato dalla normativa discussa nel procedimento principale [cioè il TUF], che quest’ultima sembra limitarsi a prevedere, all’articolo 187 terdecies del TUF, che quando per lo stesso fatto sono state applicate una multa e una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale, l’esazione della prima è limitata alla parte eccedente l’importo della seconda. Orbene, dal momento che l’articolo 187 terdecies sembra avere ad oggetto solamente il cumulo di pene pecuniarie, e non il cumulo di una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale e di una pena della reclusione, risulta che detto articolo non garantisce che la severità dell’insieme delle sanzioni inflitte sia limitata a quanto strettamente necessario rispetto alla gravità del reato in questione” (punto 60 della decisione – grassetto aggiunto).
La Corte quindi conclude che
“l’articolo 50 della Carta dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, che consente di celebrare un procedimento riguardante una sanzione amministrativa pecuniaria di natura penale nei confronti di una persona per condotte illecite che integrano una manipolazione del mercato, per le quali è già stata pronunciata una condanna penale definitiva a suo carico, nei limiti in cui tale condanna, tenuto conto del danno causato alla società dal reato commesso, sia idonea a reprimere tale reato in maniera efficace, proporzionata e dissuasiva”. La Corte, inoltre, rileva altresì che “il principio del ne bis in idem garantito dall’articolo 50 della Carta conferisce ai soggetti dell’ordinamento un diritto direttamente applicabile nell’ambito di una controversia come quella oggetto del procedimento principale” (punti 63 e 68 della decisone – grassetto aggiunto).
Se si considera la circostanza che il finanziere in questione, alla fine della vicenda qui esaminata, si è visto da un lato indultare la sanzione penale, e dall’altro rimuovere (dalla decisone in commento) la sanzione amministrativa applicatagli, rimanendo, quindi, sostanzialmente impunito in relazione alle gravissime violazioni che erano state accertate a suo carico, è forse il caso di osservare che appare assai miope l’ostinazione con cui il legislatore italiano e la Corte Costituzionale si ostinano ad ignorare che nell’attuale contesto normativo ed alla luce della CEDU e della consolidata giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (fina dal caso Grande Stivens), un sistema repressivo in cui si realizza una partenogenesi delle sanzioni e dei relativi procedimenti è destinato inevitabilmente a causare più l’impunità dei colpevoli che la loro giusta punizione (e questo non solo nel caso di violazioni delle norme del TUF, ma in tutti i casi in cui alle sanzioni penali si assommano sanzioni amministrativa che per la loro gravità hanno indubbiamente natura reipersecutoria e, quindi, penale alla luce della CEDU).