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Cass. Sez. Un. 18 settembre 2014 n. 38343

Sono configurabili i reati di omicidio colposo plurimo e incendio colposo aggravati dalla previsione dell’evento per i vertici aziendali, dovendosi ritenere eventuali condotte improprie dei dipendenti agevolmente prevedibili in un contesto di forte scadimento dell’efficienza della produzione e della sicurezza sul luogo di lavoro, ed escludere che esse costituiscano fattori di interruzione del nesso causale o causa di imprevedibilità dell’evento.

Storica sentenza della Suprema Corte, che, con le sue 214 pagine, ha inteso procedere a dirimere questioni giuridiche assai rilevanti, come la demarcazione tra “colpa cosciente” e “dolo eventuale”,e la prova del nesso di causalità nelle condotte colpose omissive.

Secondo i giudici di legittimità, “l’adozione di tutte le misure doverose, primarie e secondarie, avrebbe evitato il drammatico sinistro”, per tale motivo nel nuovo processo d’appello, disposto dai giudici medesimi, dovranno essere ridefinite le condanne inflitte agli imputati – i vertici aziendali – per il rogo che nel 2007 costò la vita di sette operai; nel grado d’appello, infatti, erano state inflitte pene tra i dieci e i sette anni di reclusione.

Secondo la Corte di Cassazione, gli operai erano stati tenuti all’oscuro circa il rischio connesso alla fragilità dei tubi flessibili “incriminati” per l’incendio: ne consegue che “non è razionale addebitare loro eventuali errori”, anche in considerazione del fatto che “i lavoratori tennero un contegno che non può essere ritenuto imprudente o imprevedibile”.

Quanto alla scelta di derubricare il reato di omicidio volontario in omicidio colposo plurimo e incendio colposo, a carico dei vertici aziendali, è motivata invece sul rilievo che “la holding aveva avviato una campagna decisa di lotta senza quartiere al fuoco”, e che chi rivestiva posizioni apicali aveva evidentemente “disatteso tale forte indicazione di politica aziendale”.