– a cura di Filippo Capurro – Agosto 2020 –
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Anche in considerazione dell’ormai diffusissimo utilizzo del lavoro agile per l’emergenza pandemica, appaiono di interesse due recenti pronunce che riguardano l’istituto dei buoni pasto.
L’utilizzo del buono pasto è in generale favorito dalla normativa fiscale che prevede nel lavoro subordinato l’esenzione da imposte e contributi fino alla somma di € 4,00 per quelli in formato cartaceo e di € 8,00 se in forma elettronica (art. 51, comma 2, lett. c, TUIR).
La loro concessione è rimessa alla libertà negoziale delle parti che possono concordarlo nel contratto individuale, o mediante C.C.N.L. o accordo collettivo aziendale, o infine per via unilaterale ad opera del datore di lavoro, mediante regolamento aziendale o semplice prassi.
E’ nell’ambito della libertà negoziale delle parti stabilire sia l’importo del buono pasto sia i limiti e le condizioni per la sua erogazione. E così è possibile ad esempio definire se esso spetti solo per le giornate di effettivo lavoro, con esclusione, quindi, dei giorni di riposo, ferie, festività, ecc., se si deve superare una certa durata giornaliera della prestazione (ad es. almeno sei ore) e così via.
Anche negli accordi relativi al lavoro agile (previsti dalla L. 81/2017) è possibile concordare le condizioni di eventuale fruizioni dei buono pasto, oppure escluderlo. L’utilizzo emergenziale del lavoro agile, senza accordo tra le parti crea una situazione di incertezza sull’istituto.
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La prima pronuncia che segnalo è il decreto del Trib. di Venezia 08/07/2020 est. Bortot , emesso nell’ambito di un procedimento per condotta antisindacale (avviato ex art. 28, L. n. 300/1970).
La pronuncia va inserita nel contesto del caso trattato: l’organizzazione sindacale lamentava di non essere stata consultata in relazione alla decisione di un Comune di escludere dal godimento dei buoni pasto i lavoratori collocati unilateralmente in smart working, nell’ambito dell’emergenza Covid-19.
Il giudice ha anzitutto osservato che il diritto ai buoni pasto in favore dei lavoratori degli enti locali è previsto dal C.C.N.L. di comparto (titolo VI del C.C.N.L. 14/09/2000, rubricato “Trattamento Economico”, e in particolare agli artt. 45 e 46, richiamati all’art. 26 del C.C.N.L. di comparto), che ne subordinano la fruizione a determinati requisiti di durata giornaliera della prestazione. In particolare, per la maturazione del buono pasto, sostitutivo del servizio mensa (art. 45 C.C.N..L di comparto), è necessario che l’orario di lavoro sia organizzato con specifiche scadenze orarie e che il lavoratore consumi il pasto al di fuori dell’orario di servizio
Muovendo da tale considerazione il giudice ha accertato che il buono pasto non costituisce elemento della retribuzione, né trattamento comunque necessariamente conseguente alla prestazione di lavoro in quanto tale, ma piuttosto di un beneficio conseguente alle modalità concrete di organizzazione dell’orario di lavoro.
Di conseguenza i buoni pasto non sono stati ritenuti rientrare nella nozione di trattamento economico e normativo che deve essere garantito in ogni caso al lavoratore in smart working ai sensi dell’art.20 Legge n. 81 del 2017.
Da ciò anche l’esclusione della condotta antisindacale per non avere l’Amministrazione convocato l’Organizzazione Sindacale; infatti, osserva il giudice, se i buoni pasto non spettano in modalità di lavoro agile, la sospensione dell’erogazione al lavoratore era sostanzialmente un atto “necessitato” per l’Amministrazione, risultando il confronto sindacale privo di alcun possibile esito positivo per i lavoratori.
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Sia consentito anche richiamare la recentissima ordinanza Cass. 28/07/2020 n. 16135 che ha affermato come i buoni pasto non hanno natura retributiva e che, di conseguenza, la loro erogazione può essere unilateralmente e liberamente interrotta da parte del datore di lavoro.
Anche in questo caso la Suprema Corte ha ricordato che i buoni pasto devono essere, qualificati alla stregua di un’agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale.
Secondo i Giudici di legittimità, dal momento che i buoni pasto non rientrano nel trattamento retributivo in senso stretto, la loro erogazione può essere variata anche per unilaterale deliberazione datoriale, essendo previsione di un atto interno non prodotto da un accordo sindacale.
Interessante è anche la considerazione per la quale è inopponibile alla parte datoriale la reiterata erogazione dei buoni nel tempo, anche nell’ipotesi in cui la stessa abbia integrato una prassi aziendale. In particolare viene affermato che “l’Interpretazione contrapposta dal lavoratore, di erogazione dei buoni pasto «in funzione di un rapporto contrattuale», anche sulla base di una reiterazione nel tempo tale da integrare una prassi aziendale (…), non inficia il presupposto della natura non retributiva dell’erogazione”.
Peraltro, il Giudice di Venezia nell’ordinanza prima richiamata aveva richiamato una sentenza analoga a quest’ultima (Cass. 29/11/2019, n. 31137) che appunto aveva escluso la natura di elemento “normale” della retribuzione del buono pasto, trattandosi di un’“agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale”. Anche per questo aveva concluso che i buoni pasto potessero rientrare nella nozione di trattamento economico e normativo che deve essere garantito in ogni caso al lavoratore in smart working ai sensi dell’art. 20 L. n. 81/2017.
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Il buono pasto risulta dunque un beneficio non attribuito senza un preciso scopo, in quanto la sua corresponsione è finalizzata a far sì che, nell’ambito dell’organizzazione del lavoro, si possano conciliare le esigenze del servizio con le esigenze quotidiane del lavoratore.
Secondo i principi generali richiamati dalle pronunce sopra richiamate, il buono pasto non avrebbe natura strettamente retributiva. Da ciò deriverebbe che esso non rientra nel vincolo di cui all’art. 20 L. 81/2017 per il quale il lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile ha diritto a “un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato, in attuazione dei contratti collettivi (…), nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda”.
Sempre per tale ragione il buono pasto è stato ritenuto revocabile, quanto meno cessandone le condizioni collegate al suo scopo.
Ad ogni buon conto richiamo l’attenzione sull’opportunità di disciplinare la materia negli accordi di lavoro agile, eventualmente escludendo i buoni pasto in modo espresso, o consentendone la revoca unilaterale in determinate condizioni. E del resto l’opportunità è ormai imminente, avvicinandosi la fine dello stato di emergenza (15/10/2020) e con essa insorgendo la necessità di stipulare con i lavoratori accordi individuali di smart working, che durante la pandemia non erano temporaneamente necessari.
Naturalmente la dovuta attenzione dovrà essere data al rapporto tra le fonti vigenti in azienda (C.C.N.L., contratto aziendale, contratto individuale, regolamento di lavoro agile, accordo individuale di lavoro agile), da maneggiare nel rispetto dei principi relativi al rapporto tra le fonti.