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– a cura di Filippo Capurro – Agosto 2020 – 

Nell’ambito del dibattito sul divieto di licenziamento introdotto dalla normativa emanata a seguito della pandemia Covid-19, ha suscitato attenzione la posizione dei dirigenti.

Tengo a precisare che in questo lavoro non intendo prendere una precisa pozione, limitandomi a evidenziare gli aspetti rilevanti che a mio giudizio debbono essere considerati nella ricerca di una soluzione interpretativa.

1. La norma di “blocco” dei licenziamenti

L’art. 46, DL 18/2020 (c.d. decreto “Cura Italia”), convertito con modifiche dalla L. 27/2020 e ulteriormente modificato dal DL 34/2020 (c.d. decreto “Rilancio”) a sua volta convertito in L. 77/2020, stabilisce quanto segue:

“A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4,5 e 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223 è precluso per cinque mesi e nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti avviate successivamente alla data del 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d’appalto.

Sino alla scadenza del suddetto termine, il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604.

Sono altresì sospese le procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in corso di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604.”

Il divieto di licenziamento opera dunque fino al giorno 17/08/2020. Peraltro, al momento in cui scrivo, è stato comunicato che il c.d Decreto “Agosto” prevede che il blocco dei licenziamenti resti valido per le aziende che utilizzano la cassa integrazione speciale istituita per l’emergenza coronavirus (che è stata prorogata per altre 18 settimane) o altri sgravi contributivi introdotti in questi mesi.

Il menzionato art. 46 non chiarisca se i licenziamenti irrogati nel periodo di blocco siano nulli o solo temporaneamente inefficaci sino alla fine del periodo di divieto. Un aiuto interpretativo può forse provenire dalla sua finalità, che pare sia di impedire scelte datoriali esclusivamente ispirate alla contingenza della difficoltà economica del momento, che il Governo ha cercato di di scongiurare con interventi importanti a favore delle imprese. Se così è, il rimedio della temporanea inefficacia sarebbe insufficiente al risultato perseguito.

La conseguenza della nullità dei licenziamenti è rinvenibile nella tutela di cui all’art. 18, comma 1, L. 300/1970 e quindi la c.d. tutela reintegratoria piena.

2. … la norma di blocco opera anche per il licenziamento dei dirigenti?

2.1 Il tenore letterale della norma

Va subito osservato che il tenore letterale della norma a dir poco equivoco in relazione alla posizione dei dirigenti.

A quanto ho visto, nel dibattito giuridico si tende perlopiù a escludere i dirigenti dal blocco dei licenziamenti individuali, sulla base essenzialmente del riferimento che l’art. 46, DL 18/2020 effettua ai soli licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604”.

In sostanza si è detto che, giacché l’esclusione fa riferimento a una norma (appunto l’art. 3, L. 604/1966) che disciplina la materia del licenziamento di quadri, impiegati e operai, sarebbe da escludersi che il divieto possa riguardare i dirigenti ai quali detta norma non si applica, per espressa previsione dell’art. 10 L. 604/1966.

2.2. La ratio

Il dirigente è in effetti estraneo all’ambito di applicazione della L. 604/1966 (e delle altre normative in materia di licenziamento (L. 300/1970, d.lgs. 23/2015) e beneficia di una tutela convenzionale contenuta nei contratti collettivi di categoria di diversi settori.

Questi ultimi richiedono che il licenziamento del dirigente sia fondato su un requisito causale, che viene anche chiamato “giustificatezza”; si tratta tuttavia di un rimedio di matrice contrattuale e non legislativa.

Benché – salve specifici fattispecie (ad es. la discriminazione) – il licenziamento individuale dei dirigenti non sia sanzionato da norme di legge, vi è da domandarsi se il riferimento fatto dalla normativa di blocco all’art. 3 L. 604/1966 sia effettuato al fine di individuare la platea dei beneficiari del blocco (quindi solamente quadri, operai e impiegati) oppure solamente per individuare una delle tipologie di licenziamento investite dal divieto: il licenziamento economico.

In sostanza, ai fini della norma di blocco è possibile equiparare l’obbligo di giustificazione del licenziamento previsto dai contratti collettivi al giustificato motivo oggettivo? 

Se l’opzione interpretativa corretta fosse quest’ultima, non rileverebbe la circostanza che la disciplina limitativa dei licenziamenti (legge 604 del 1966) trovi applicazione soltanto ad operai, impiegati e quadri, in quanto il principio sarebbe che si è inteso inibire ogni e qualsiasi licenziamento economico.

L’opzione interpretativa, corretta o meno che sia, non mi pare osterebbe con l’esclusione del blocco per altre categorie di licenziamenti quali quelli in priva e dei lavoratori domestici, in quanto in questi casi si è comunque in assenza di alcun requisito causale, non previsto neppure per via contrattuale.

2.3. Le norme imperative in materia di limitazione dei licenziamenti

Senza precipitarsi per forza a trarre delle conclusioni, osservo che le norme imperative che vietano il licenziamento in alcuni casi hanno di solito una efficacia generalizzata. Intendo dire che tendono a prescindere sia dal requisito dimensionale del datore di lavoro sia dal regime di tutela che sarebbe operante per ciascun lavoratore interessato dal licenziamento.

E’ così per il licenziamento discriminatorio, in maternità, per causa di matrimonio, per trasferimento d’azienda etc.;

Anche le conseguenze sanzionatorie sono uniformi: la violazione della norma imperativa comporta la nullità del licenziamento e, ai sensi dell’art. 18, comma 1, L. 300/1970, la tutela reintegratoria piena.

Peraltro la norma di blocco contenuta nell’art. 46 DL 18/2020 è insensibile al requisito dimensionale del datore di lavoro, riguardando quindi anche i datori di lavoro che occupano fino a quindici dipendenti. Da questo primo punto di vista ha una vocazione generalista.

Naturalmente una norma imperativa di divieto può sempre contenere delle esclusioni al proprio ambito di applicazione. Se tali esclusioni sono esplicite non sorgono problemi, se non lo sono, occorre un percorso interpretativo che è a volte complesso e delicato.

2.4. I limiti dell’interpretazione analogica

Vi è tuttavia il fatto che la norma speciale, quale parrebbe essere l’art. 46 DL 18/2020, non è applicabile in via analogica, cosa che ostacolerebbe la sua applicazione ai dirigenti.

2.5. Il divieto dei licenziamenti collettivi per i dirigenti

Vi è però da domandarsi se un interpretazione restrittiva della norma di divieto per i licenziamenti individuali limitata a quadri, impiegati e operai, sia compatibile con la ratio del blocco dei licenziamenti, ove si consideri che la facoltà di licenziare i dirigenti nel periodo di divieto sarebbe limitata al licenziamento economico individuale del dirigente.

Come si è visto nel testo della norma, infatti, il divieto dell’art. 46, DL 18/2020 riguarda i licenziamenti collettivi. Sta di fatto che i dirigenti sono, comunque, soggetti alla disciplina legale dei licenziamenti collettivi (art. 24 della legge n. 223 del 1991, nel testo ora vigente).

Sicché ci troveremmo nella situazione di una categoria di lavoratori – appunto i dirigenti – per i quali opererebbe un divieto di licenziamento se collettivo, ma non se individuale. E la contraddizione si appalesa prorompente ove si consideri che, in entrambi i casi, trattasi di licenziamenti economici. Per i dirigenti saremmo quindi in presenza di una doppia disparità di trattamento sia tra categorie di lavoratori, sia interna alla categoria a seconda del numero di lavoratori licenziati.

2.6. (segue) L’interpretazione costituzionalmente orientata

Vi è dunque da chiedersi se, nell’ambito di una interpretazione costituzionalmente orientata, non sia necessario interpretare il divieto del licenziamento individuale come riferito anche ai dirigenti.

2.7. (segue) Il possibile utilizzo in frode alla legge del licenziamento del dirigente

Sappiamo che il licenziamento collettivo è tale se il numero complessivo dei licenziamenti è superiore a quattro nell’arco temporale di 120 giorni (art. 24 L. 223/1992).

Ma vi è da ragionare sul caso di licenziamenti individuali di dirigenti effettuati fino alla data del 17/08/2020, seguiti, dopo tale data, all’avvio di procedure di licenziamento collettivo.

La domanda e se può dirsi che il licenziamento di dirigenti, in numero non superiore a quattro – nel periodo del blocco – possa essere integrato dalla programmazione di licenziamenti ulteriori, che non siano stati irrogati successivamente.

Magari comprendendo il personale non dirigenziale che ne dipende gerarchicamente e sia volto, di conseguenza, soltanto ad eludere il blocco, nell’ambito di un atto in frode alla legge.

E’ stato sul punto osservato che “(…)deve ritenersi a mio parere che il blocco operi anche nei confronti del singolo dirigente, quando possa ritenersi che il suo licenziamento dipenda da una riduzione o trasformazione di attività o lavoro che, se non vi fosse il divieto, avrebbe coinvolto anche gli altri dipendenti, magari sospesi in cassa integrazione in attesa della fine del periodo impeditivo (dove è evidente la difficoltà di prova di una simile connessione, che potrebbe in ‘qualche caso basarsi anche sul solo dato temporale di una distanza tra il licenziamento del dirigente e la successiva riduzione di personale compresa nei 120 giorni di cui all’art. 24 L 223/1991)”. [Franco Scarpelli, Blocco dei licenziamenti e solidarietà sociale, cit., spec. 321, laddove si legge].

Vi è da aggiungere a questa interessante considerazione che la giurisprudenza sta vivendo una fase di rielaborazione della nozione di licenziamento collettivo. Segnalo a questo proposito l’interessante sentenza Cass. 20/07/2020 n. 14401 relativa all’interpretazione dell’art. 1, paragrafo 1, primo comma, lettera a) della direttiva 98/59/Ce del Consiglio del 20/07/1998. Secondo tale pronuncia, rientra nel licenziamento collettivo il fatto che un datore di lavoro proceda, unilateralmente e a svantaggio del lavoratore, a una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso, da cui consegua la cessazione del contratto di lavoro, anche su richiesta dal lavoratore.

Questa fase espansiva della nozione di licenziamento collettivo tende a dare importanza al contesto complessivo delle riduzioni collettive. Tra l’altro non può escludersi che, entro limiti ragionevoli e motivati, essa possa coinvolgere anche l’aspetto cronologico della riduzione, rielaborando anche il segmento temporale dei 120 giorni.

3. Lo “scambio” tra limitazione dei licenziamenti a ammortizzatori sociali

Vi infine un aspetto del quale molto si è discusso nell’ambito delle riflessioni sulla legittimità costituzionale del divieto dei licenziamenti Non necessario alla norma di divieto in relazione all’art. 41 Cost. sulla libertà d’impresa.

Si tratta dello scambio normativo tra blocco dei licenziamenti e ammortizzatori sociali.

Il tema è significativo ai fini del problema qui affrontato, in quanto si potrebbe affermare che l’esclusione del blocco per i dirigenti sia in linea con la circostanza che gli stessi non beneficiano degli ammortizzatori sociali.

A me pare che l’argomento andrebbe valutato alla luce del fatto che, pur non essendo i dirigenti beneficiari di ammortizzatori sociali, per essi è formulato divieto di licenziamenti collettivi.

Inoltre, per le altre categorie di lavoratori, non vi è stato speculare corrispondenza tra ammortizzatori sciali e divieto di licenziamento: il primo opera per 5 mesi, i secondi per  18 settimane.

Infine i due strumenti hanno finalità diverse e lo scambio non mi sembra espresso in nessuna norma.

4. In conclusione

Certamente la questione presenta incertezze e problematicità. Vi è dunque da attendere il punto di vista della giurisprudenza, auspicando il formarsi di un orientamento univoco e ben argomentato.