– Agosto 2021 – a cura di Filippo Capurro –
Tribunale di Milano 11/05/2021 ord. est. Palmisani
Il Tribunale ha accolto il ricorso d’urgenza promosso da un lavoratore, dichiarato idoneo alle mansioni con limitazioni e collocato in Cassa Integrazione COVID (CISOA), per affermata impossibilità di adibirlo alle sue mansioni e nell’impossibilità di licenziarlo per inidoneità sopravvenuta in dipendenza del blocco emergenziale dei licenziamenti.
Il Giudice ha ritenuto illegittima la sospensione poiché il datore di lavoro avrebbe potuto adottare ragionevoli accomodamenti per consentire al dipendente lo svolgimento di una parte delle mansioni disponibili, e applicare criteri di rotazione nell’ambito dei principi di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375), e di non discriminazione.
Con riferimento a tale ultimo limite, l’art. 3, comma 1, lett. b), d.lgs. 216/2003 ha stabilito, tra l’altro, che “il principio di parità di trattamento senza distinzione (…) di handicap (…) si applica a tutte le persone sia nel settore pubblico che privato ed è suscettibile di tutela giurisdizionale” con specifico riferimento anche alla seguente area: “occupazione e condizioni di lavoro, compresi gli avanzamenti di carriera, la retribuzione e le condizioni del licenziamento”.
L’art. 3, comma 3 bis, d.Lgs. 216/2003, a sua volta, stabilisce poi che “Al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli (…), per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori (…)”.
A sua volta l’art. 42 d.lgs. 81/2008, dispone che “il datore di lavoro, anche in considerazione di quanto disposto dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, in relazione ai giudizi di cui all’articolo 41, comma 6, attua le misure indicate dal medico competente e qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla mansione specifica adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza”.
Gli accomodamenti ragionevoli consistono in ”(…) adeguamenti, lato sensu, organizzativi che il datore di lavoro deve porre in essere al fine di “garantire il principio della parità di trattamento dei disabili” e che si caratterizzano per la loro “appropriatezza”, ovvero per la loro idoneità a consentire alla persona svantaggiata di svolgere l’attività lavorativa. Vale rimarcare che l’adozione di tali misure organizzative è prevista in ogni fase del rapporto di lavoro, da quella genetica sino a quella della sua risoluzione, non essendo specificamente destinate a prevenire un licenziamento” (Cass. 09/03/2021, n. 6497).
Essi sono sottoposti al duplice limite della proporzione e della ragionevolezza. Con riferimento alla proporzione, l’accomodamento non può imporre alla società oneri finanziari sproporzionati; quanto al profilo della ragionevolezza potrà dirsi tale “ogni soluzione organizzativa praticabile che miri a salvaguardare il posto di lavoro del disabile in un’attività che sia utile per l’azienda e che imponga all’imprenditore, oltre che al personale eventualmente coinvolto, un sacrificio che non ecceda i limiti di una tollerabilità considerata accettabile secondo la comune valutazione sociale” (Cass. 09/03/2021, n.6497).