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– a cura di Angelo Beretta – Agosto 2019 –

Segnaliamo oggi una sentenza (Trib. Milano 29/11/2016 n. 3266 est. Cassia), relativa a un caso seguito dal nostro Studio, che ha deciso sulla domanda di riqualificazione del tipo contrattuale, sciogliendo il discrimine tra prestazione lavorativa resa nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato e quella resa nell’ambito di un tirocinio di inserimento e reinserimento lavorativo.

Il tirocinio di inserimento e reinserimento lavorativo è finalizzato ad agevolare l’inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro di lavoratori disoccupati, inoccupati e/o appartenenti a specifiche categorie di soggetti.

Il soggetto ospitante (l’azienda) ha l’onere – tra gli altri – di delineare un percorso formativo del tirocinante indicando in modo specifico le finalità, gli obiettivi, le attività previste per l’acquisizione delle specifiche competenze nonché le c.d. facilitazioni (buoni pasto, rimborso spese o comunque gli emolumenti economici riconosciuti).

Il Tribunale di Milano si da carico del fatto che tale tipologia contrattuale, non integrando formalmente un rapporto di lavoro, possa prestarsi ad utilizzi impropri volti ad ottenere una prestazione lavorativa al di fuori della normativa protettiva in materia di lavoro.

Al fine di accertare se l’utilizzo del tirocinio sia legittimo o fraudolento occorrere partire dall’analisi delle mansioni effettivamente svolte dalla risorsa, e comprendere se la risorsa è stata utilizzata per “ricoprire ruoli necessari all’organizzazione”. Nel caso di specie la ricorrente aveva infatti sostenuto di essere stata inserita nel contesto aziendale in considerazione delle conoscenze dalla medesima già acquisite in un precedente rapporto di lavoro e con la finalità di sostituire la responsabile ufficio contabilità ritiratasi in pensione contestualmente con l’ingresso in azienda della ricorrente.

Il Tribunale di Milano per dirimere la vertenza ha pertanto valutato da un lato il grado di preparazione della ricorrente e dall’altro l’effettiva autonomia professionale della stessa nello svolgimento delle proprie attività. Se la ricorrente si fosse dimostrata preparata e autonoma a seguito dell’analisi delle mansioni effettivamente svolte, il rapporto avrebbe potuto essere convertito in uno subordinato, vista l’immediata uscita dall’azienda della persona da sostituire.

Dall’esito dell’istruttoria è invece emerso che la ricorrente “non era in grado di sostituire compiutamente [la risorsa pensionata], non avendo la necessaria preparazione, soprattutto in tema di bilanci”. Allo stesso modo “la ricorrente non svolgeva le mansioni affidatele in autonomia, dovendosi costantemente rapportare e ricevendo istruzioni dalle colleghe dell’ufficio commerciale e dell’ufficio contabilità… non risolveva in autonoma i problemi, limitandosi a registrarli e a riferirli alle colleghe”.

Alla luce di quanto sopra, nonché in presenza di un effettivo programma di formazione e della presenza di un tutor che ha seguito la ricorrente, il Tribunale di Milano è giunto alla convinzione del fatto che non vi era stato alcun utilizzo improprio dell’istituto del tirocinio e che pertanto il ricorso andava rigettato, peraltro con condanna alle spese legali avendo la ricorrente rifiutato la proposta conciliativa formulata dal Giudice, e accettata dalla società resistente.

Scarica Trib. Milano 29 novembre 2016 n. 3266 est. Cassia

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