– a cura di Filippo Capurro – Agosto 2019 –
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Oggi richiamo alcune importanti pronunce relative alla rilevanza del contratto collettivo e del codice disciplinare nell’ambito del licenziamento per motivi soggettivi.
Con riguardo ai datori di lavoro che occupano oltre quindici dipendenti, due norme hanno rilievo ai fini di queste riflessioni.
L’art. 18, comma 4, L. 300/1970 – che si applica agli assunti fino al 07/03/2015, secondo il quale “Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto (…).”
Lʼart. 3, comma 2, D. Lgs. 23/2015 – che si applica agli assunti dal 07/03/2015 – secondo il quale “Esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio lʼinsussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di unʼindennità risarcitoria commisurata (…)”.
La mia prima osservazione è che la previsione dei contratti collettivi e dei regolamenti disciplinari rilevi esclusivamente con riguardo ai fini dell’applicazione della prima norma.
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Direi che ormai è pacifico in giurisprudenza come lʼinsussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore comprenda non solo i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare.
Quindi per intenderci, si ha “insussistenza” del fatto e quindi applicazione della tutela reintegratoria, anche qualora il fatto esista ma non presenti profili di antigiuridicità (rilevante sul piano del rapporto di lavoro).
Questo principio vale in relazione all’applicazione di entrambe le norme sopra menzionate. In tal senso Cass. 28/05/2019 n. 14500, Cass. 23/05/2019 n. 14054 e Cass. 07/02/2019 n. 3655 (relative all’art. 18. comma 4, L. 300/1870), nonché Cass. 08/05/2019 n. 12174 (relativa all’art. 3 comma 2, D. Lgs. 23/2015).
Sul punto rinvio anche, su questo sito, a “Licenziamento degli assunti dal 07/03/2015: l’insussistenza del fatto materiale contestato”.
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Passiamo ora ad affrontare lo specifico aspetto della specifica rilevanza del contratto collettivo e del regolamento disciplinare in materia di legittimità del licenziamento, e quindi ci riferiamo, come sopra detto, essenzialmente all’art. 18. comma 4, L. 300/1970.
→ Secondo Cass. 09/05/2019 n. 12365 , in presenza di una previsione collettiva che sanzioni la condotta con un provvedimento conservativo, “non solo il licenziamento sarà ingiustificato senza possibilità di diversa valutazione da parte del giudice, ma il giudice dovrà annullare il licenziamento, ordinando la reintegrazione nel posto di lavoro”.
Tuttavia, nel contempo “non può dirsi consentito al giudice, in presenza di una condotta accertata che non rientri in una di quelle descritte dai contratti collettivi ovvero dai codici disciplinari come punibili con sanzione conservativa, applicare la tutela reintegratoria, operando una estensione non consentita … al caso non previsto sul presupposto del ritenuto pari disvalore disciplinare”.
→ Secondo Cass. 27/03/2019 n. 8582 , il procedimento di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta, tipizzata dalle parti collettive, postula l’integrale coincidenza tra le due, con conseguente impossibilità di procedere a una tale operazione logica, quando la condotta del lavoratore sia caratterizzata da elementi aggiuntivi, estranei e aggravanti, rispetto alla previsione contrattuale.
Il caso affrontato dai giudici era relativo alla guida in stato di ebbrezza costituente reato, la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito che, sul semplice presupposto che il c.c.n.l. di settore punisse con la sanzione conservativa l’essere sotto l’effetto di sostanze alcoliche durante il servizio, aveva ritenuto illegittimo il licenziamento, senza considerare la maggiore gravità del fatto in concreto contestato.
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Si può dunque concludere che l’oscillazione tra il pari disvalore disciplinare da un lato e la presenza di elementi aggiuntivi, estranei e aggravanti dall’altro, imponga al giudice, e prima ancora al difensore, una valutazione caso per caso, attenta, cauta e prudente.