– a cura di Filippo Capurro – Novembre 2020 –
Segnalo una interessante pronuncia del Tribunale di Torino, Sezione Impresa, 18/09/2020 ord. est. La Manna .
(1) La fattispecie
Il caso riguardava un agente di commercio e un procacciatore d’affari che, dopo aver cessato i relativi rapporti di con una Società, continuavano a svolgere la propria attività in proprio sfruttando l’elenco dei nominativi dei clienti che era stato loro assegnato nel corso degli anni e li contattavano al fine di proporre un cambio di fornitore.
La Società avviava un giudizio d’urgenza contro tali soggetti per far accertare l’esistenza di una concorrenza sleale e ottenere un provvedimento di inibitoria.
La vicenda può essere affrontata in modo del tutto analogo anche nel caso in cui il rapporto intercorso fosse stato di lavoro subordinato.
La sentenza affronta infatti non la disciplina del contratto di agenzia, di procacciamento d’affari o di lavoro, e neppure la disciplina di accordi di non concorrenza, ma quella sulla concorrenza sleale.
Perciò il Tribunale adito è quello dell’Impresa e non la Sezione Lavoro, con buona pace per un eccezione di incompetenza sollevata dai due convenuti.
(2) Il quadro giuridico di riferimento
Preliminarmente richiamo alcune norme utili per comprendere la portata della pronuncia.
L’art 2598 c.c. recita:
“Ferme le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi e dei diritti di brevetto, compie atti di concorrenza sleale chiunque:
(…)
3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”.
L’art. art. 98 d.lgs. 10/02/2005, n. 30 [Codice della proprietà industriale (Cpi)] recita:
“1. Costituiscono oggetto di tutela le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore, ove tali informazioni:
a) siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore;
b) abbiano valore economico in quanto segrete;
c) siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete.
2. Costituiscono altresì oggetto di protezione i dati relativi a prove o altri dati segreti, la cui elaborazione comporti un considerevole impegno ed alla cui presentazione sia subordinata l’autorizzazione dell’immissione in commercio di prodotti chimici, farmaceutici o agricoli implicanti l’uso di nuove sostanze chimiche.”
Il successivo art. 99 prevede poi che:
“Salva la disciplina della concorrenza sleale, è vietato rivelare a terzi oppure acquisire od utilizzare le informazioni e le esperienze aziendali di cui all’articolo 98.”
(3) I principi contenuti nell’ordinanza
Di seguito riporto i principi che emergono dalla sentenza:
a) Deve ritenersi fisiologico il fatto che il nuovo imprenditore ex agente per proporre sul mercato la nuova attività acquisisca o tenti di acquisire alcuni clienti già in rapporto con l’impresa per cui precedente prestava attività (viene richiamato quale precedente Cass 30/05/2007 n 12681);
b) commette però un atto di concorrenza sleale l’imprenditore che si appropria di tabulati recanti i nominativi dei clienti e distributori del concorrente, essendo irrilevante il fatto che tali nominativi fossero già noti allo stesso (viene richiamato quale precedente Cass 31/03/2016 n 6274);
c) non è necessario che il contenuto delle informazioni contenute nelle liste dei clienti contengano informazioni segrete rilevanti ai sensi dell’art 98 Cpi, non esaurendo tali informazioni l’ambio di tutela delle informazioni riservate che possono essere tutelate ex art. 2598 n. 3 c.c.;
d) è sufficiente che le informazioni acquisite o utilizzate costituiscano un complesso organizzato e strutturato di dati cognitivi, seppur non secretati e potetti, che superino la capacità mnemonica e l’esperienza del singolo normale individuo e che configurino così una banca dati che, arricchendo la conoscenza del concorrente, sia capace di fornirgli un vantaggio competitivo che trascenda la capacità e le esperienze del lavoratore acquisito (viene richiamato quale precedente Cass 12/07/2019 n 18772).
E’ stata invece esclusa, nella vicenda di causa, una contesta attività di denigrazione commerciale e di storno di personale, anch’essa astrattamente rilevante ai sensi dell’art 2598 n. 2 c.c., essenzialmente per la mancanza di consistenza quantitativa che, in effetti, in una fase urgenza, può incidere sull’apparenza del diritto vantato.
Il giudice ha pertanto inibito l’ulteriore utilizzo delle liste clienti nonché la stipula dei contratti con i medesimi clienti e ha fissato un importo per ogni contratto che sarà stipulato in violazione del provvedimento.
(4) Patti di non concorrenza successivi alla cessazione del rapporto
Non è il caso qui trattato ma ricordo che le parti possono comunque limitare l’attività di concorrenza successiva alla cessazione del rapporto di lavoro, di quello di agenzia o di collaborazione autonoma.
Si tratta di regolamentazioni che variano a seconda del tipo di rapporto.
Più precisamente:
a) quanto al rapporto di lavoro subordinato si applica la disciplina di cui all’art. 2125 c.c. che recita:
“Il patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto, è nullo se non risulta da atto scritto, se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo.
La durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli altri casi. Se è pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura suindicata”.
La materia e molto articolata e densa si sfumature applicative e rinvio a qualche contributo rinvenibile su questo sito a questo Link .
b) quanto al rapporto di agenzia si applica l’art. 1751 bis c.c., integrato eventualmente degli accordi economici collettivi.
Tale norma recita:
“Il patto che limita la concorrenza da parte dell’agente dopo lo scioglimento del contratto deve farsi per iscritto. Esso deve riguardare la medesima zona, clientela e genere di beni o servizi per i quali era stato concluso il contratto di agenzia e la sua durata non può eccedere i due anni successivi all’estinzione del contratto.
L’accettazione del patto di non concorrenza comporta, in occasione della cessazione del rapporto, la corresponsione all’agente commerciale di una indennità di natura non provvigionale. L’indennità va commisurata alla durata, non superiore a due anni dopo l’estinzione del contratto, alla natura del contratto di agenzia e all’indennità di fine rapporto. La determinazione della indennità in base ai parametri di cui al precedente periodo è affidata alla contrattazione tra le parti tenuto conto degli accordi economici nazionali di categoria. In difetto di accordo l’indennità è determinata dal giudice in via equitativa anche con riferimento:
1) alla media dei corrispettivi riscossi dall’agente in pendenza di contratto ed alla loro incidenza sul volume d’affari complessivo nello stesso periodo;
2) alle cause di cessazione del contratto di agenzia;
3) all’ampiezza della zona assegnata all’agente;
4) all’esistenza o meno del vincolo di esclusiva per un solo preponente.”
E’ questa una norma complessa nella sua applicazione, che, per la sua sostanziale indeterminatezza, determina una serie di problemi operativi di consistente rilevanza.
c) gli altri rapporti di lavoro autonomo, per prevalente orientamento di giurisprudenza, sono invece disciplinati dall’art. 2596 c.c. che recita:
“Il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto. Esso è valido se circoscritto ad una determinata zona o ad una determinata attività, e non può eccedere la durata di cinque anni.
Se la durata del patto non è determinata o è stabilita per un periodo superiore a cinque anni, il patto è valido per la durata di un quinquennio.”
Avrei qualche dubbio che tale norma si applicasse alle collaborazioni continuative e prevalentemente personali etero organizzate, disciplinate dall’art. 2, d.lgs. 81/2015, per via dell’estensione ad essi – pur permanendo la loro natura autonoma – della disciplina sul lavoro subordinato, e quindi dell’art. 2125 c.c., sopra richiamato.
(5) Le norme penali sulla materia
Sul piano penale vi è infine da ricordare gli arti. 622 e 623 c.p. che tutelano il know-how che rispettivamente sanzionano la rivelazione o l’impiego di segreti professionali ovvero di segreti scientifici o industriali.
(6) Correttezza e buona fede
Ancora una volta siamo nell’ambito di un tema a me caro, soprattuto per la potenza giuridica e la rilevanza economica generale, dell’applicazione di clausole generali. Lavoro e concorrenza ne sono un ambito di esplicazione naturale.
Condotte inappropriate danneggiano non solo la parte lesa, ma il corretto funzionamento dell’intero sistema.
Tecniche di tutela dinamiche consentono la fuga da normazioni rigide e barocche e dalle agevoli vie di fuga stagnanti nelle loro maglie.