Cass. 15 Aprile 2016 7587
In tema di società di capitali, la revoca della delega all’amministratore delegato, decisa dal consiglio di amministrazione, deve essere assistita da ‘giusta causa’, anche in applicazione analogica dell’art. 2383, co. 3, cod. civ., sussistendo, in caso contrario, il diritto del revocato al risarcimento dei danni eventualmente patiti.
I giudici di legittimità hanno accolto il ricorso di un manager che, sul finire del mandato, si era visto togliere dal CdA le deleghe che comprendevano il potere di rappresentanza e di firma sociale, a causa di alcune divergenze.
Mentre il Tribunale aveva riconosciuto all’amministratore il diritto al risarcimento nella misura delle mensilità non percepite per la fine anticipata del rapporto, la Corte d’appello aveva riformato la decisione sulla base dell’argomento che la revoca delle deleghe sarebbe connessa non a un rapporto di mandato ma al dovere di vigilanza cui sono tenuti gli amministratori: in particolare la revoca potrebbe essere ad nutum a causa del rapporto fiduciario che unisce il consiglio di amministrazione e l’amministratore delegato.
La Cassazione, ammettendo la divisione tra l’orientamento della giurisprudenza di merito e la dottrina in materia, e lamentando il silenzio della legge anche dopo la riforma del diritto societario del 2003, ha chiarito che “l’unica disposizione positiva che viene in considerazione è proprio l’art. 2383, 3° co., c.c., il quale – nel tempo rimasto immutato, sia prima che dopo la riforma – il quale stabilisce il principio della risarcibilità dell’amministratore che abbia subito la revoca da parte dell’assemblea, senza che questa sia stata data con ‘giusta causa’”. L’identità di ratio, dunque, tra revoca dell’amministratore da parte dell’assemblea, e la revoca delle deleghe all’A.D. da parte del CdA, giustifica il ricorso all’analogia.