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– a cura di Filippo Capurro – Ottobre 2020 – 

(1) Le conseguenze del licenziamento per giustificato motivo oggettivo illegittimo

Stiamo parlando di licenziamento per giustificato motivo oggettivo di lavoratori assunti fino al 07/03/2015, ai quali si applica l’art. 18 L. 300/1970 (come modificato dalla L. 92/2012 )c.d. legge Fornero). Per i lavoratori assunti da tale data si applica invece d.lgs. 23/2015 (c.d. Jobs Act Licenziamenti) che prevede la disciplina delle tutele crescenti.

In particolare, per quanto qui interessa, l’art. 18, comma 7, L. 300/1970 stabilisce che il giudice può applicare la tutela reintegratoria c.d. attenuata (consistente nella ricostituzione del rapporto e risarcimento fino a un massimo di 12 mensilità) nell’ipotesi in cui accerti la “manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento” per giustificato motivo oggettivo. La norma stabilisce altresì che, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo oggettivo, il giudice applica la c.d. tutela economica forte (in sostanza un mero indennizzo da 12 a 24 mensilità).

La norma presenta almeno due importanti problemi interpretativi: uno attiene alla facoltà del giudice di applicare o meno la tutela reintegratoria attenuata; l’altro riguarda cosa debba intendersi per manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento”. “Manifesta” è infatti una valutazione soggettiva della gradazione circa il livello di apparenza dell’inesistenza di un motivo. Difficile? Si molto, e soprattutto un’operazione un po’ sfuggente se riferita a una materia, quale il diritto, che richiederebbe un elevato grado di certezza e prevedibilità.

 

(2) La facoltà di scelta del giudice

Non è la materia che intendo qui affrontare, ma per completezza segnalo, in relazione al primo aspetto, che di recente, Cassazione 13/03/2019 n. 7167 ha affermato che, se le ragioni addotte a fondamento di un licenziamento per motivo oggettivo sono manifestamente insussistenti sul piano fattuale, al giudice non è data alcuna scelta sul regime di tutela, reintegratoria o meramente indennitaria. Infatti, l’inciso dell’articolo 18, comma 7, della legge 300/1970, a norma del quale il giudice “può altresì applicare” il regime di tutela della reintegrazione attenuata non lascia, in realtà, alcun margine di scelta, posto che, se la ricostruzione dei fatti dedotta a fondamento del motivo oggettivo di licenziamento è manifestamente insussistente, l’unica sanzione applicabile consiste nella tutela reale.  L’inciso della norma, in sostanza,  statutaria non consente al giudice un intervento discrezionale rispetto al regime di tutela applicabile in presenza di illegittimità del licenziamento per ragioni riconducibili all’organizzazione aziendale: se il fatto esposto nella lettera di licenziamento è manifestamente insussistente rimane solo e unicamente la protezione delineata dall’articolo 18, comma 4 dello statuto dei lavoratori. 

Sul punto, peraltro, Trib. Ravenna, ordinanza 07/02/2020 est. Bernardi ha rimesso la questione alla Corte Costituzionale, osservando che la norma produce una disparità di trattamento contraria al principio di uguaglianza poiché, nel diverso caso della tutela reintegratoria attenuata nei casi di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, non pare esservi la medesima facoltà per l’organo giudicante, che sembra tenuto a disporre la reintegrazione.

Viene anche riscontrata una possibile violazione dell’art. 41 Cost., poiché la norma consentirebbe al giudice di sostituirsi al datore di lavoro nell’esercizio dei poteri imprenditoriali, decidendo egli stesso se imporre la reintegrazione o confermare l’effetto estintivo del rapporto come conseguenza di un licenziamento illegittimo.

 

(3) “Manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento” e nesso causale

Secondo Cass. 29/07/2020 n. 16253 , la manifesta insussistenza si produce ogni qualvolta non ricorrono gli estremi del giustificato motivo oggettivo.

In altri termini, se viene a mancare il nesso causale tra recesso datoriale e motivo addotto a suo fondamento si ricade nell’ambito della “manifesta insussistenza” del fatto, da cui discende la tutela reintegratoria attenuata. 

In questo modo si aderisce all’indirizzo per cui il presupposto della reintegrazione non risiede nella “particolare evidenza” della (manifesta) insussistenza del fatto, ma è riconducibile all’ipotesi di portata generale per la quale è sufficiente che non ricorrano gli estremi del giustificato motivo oggettivo. 

Si tratta di un interpretazione molto severa e forse per certi aspetti non pienamente coerente con l’argomentazione sviluppata in sentenza, ove si legge che per i licenziamenti di natura economica la reintegrazione costituisce eccezione alla regola della tutela indennitaria.

Tuttavia è un’interpretazione che ha il pregio di eliminare un fattore di incertezza, a mio avviso insostenibile in una materia cos’ delicata come il licenziamento e le conseguenze ad esso connesse.

 

(4) L’obbligo di repêchage

L’obbligo di repêchage è un principio di origine giurisprudenziale formatosi in materia di licenziamenti e si fonda sulla considerazione che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo – ossia per esubero – è considerato legittimo solo se non esistono altre mansioni attribuibili al lavoratore eccedente. In altre parole il licenziamento deve essere l’extrema ratio, dovendo sempre essere preferita, laddove possibile, l’assegnazione al lavoratore di una posizione alternativa.

Per questo motivo il giudice analizza anche le assunzioni effettuate in un periodo ragionevolmente precedente e successivo al licenziamento, le quali possono costituire un indice dell’esistenza di mansioni disponibili non attribuite al lavoratore licenziando e quindi della violazione dell’obbligo di repêchage.

La giurisprudenza tuttavia ha concepito l’obbligo di repêchage nei limiti dell’assetto organizzativo del datore di lavoro, nella quale non sempre sono disponibili mansioni alternative da affidare al lavoratore licenziando, e quindi dando rilievo sia alle sue competenze (oggettive) sia alla libera organizzazione dell’impresa.

Su questo sito ho trattato diverse volte la questione. Una rassegna dei miei scritti è rinvenibile a questo Link .

Tra tutti mi sento di segnalare “Dieci questioni pratiche in materia di repêchage nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo” .

 

(5) “Manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento” e violazione dell’obbligo di repêchage

Quanto alle conseguenze  della violazione dell’obbligo di repêchage per i lavoratori ai quali si applica la disciplina Fornero (ossia assunti fino al 07/03/2015), in un primo momento si era formato un orientamento che tendeva a escludere la tutela reintegratoria, in favore di quella meramente indennitaria, sul presupposto che il repêchage non attenesse al “fatto posto a fondamento del licenziamento” (Trib. Milano 20/11/2012; Trib. Torino 05/04/2016; Trib. Genova 14/12/2013; Trib. Varese 04/09/2013; Trib. Roma 08/08/2013).

Successivamente si è definitivamente consolidato l’orientamento più rigoroso che prevede l’applicazione del della tutela reintegratoria (Cass. 02/05/2018 n. 10435, così come Cass. 17/10/2019 n. 26460 qui segnalata).

Questa seconda impostazione si fonda sulla considerazione che, alla luce dell’articolo 18, comma 7, L. 300/1970, la reintegrazione nel posto di lavoro consegue alla “manifesta insussistenza del fatto”, che ricomprende tanto il requisito delle esigenze tecniche, produttive od organizzative alla base del recesso datoriale, quanto la verifica sulla possibilità di ricollocare altrove il lavoratore all’interno della struttura aziendale. 

La lunga sentenza della Corte d’Appello di Milano 23/07/2020 n. 473 Pres. Rel. Vignati , è tutta da leggere. Denota un grosso lavoro di approfondimento da parte dei difensori delle parti e dei giudici, e costituisce una traccia accurata per l’analisi da effettuare nel vaglio del licenziamento per motivi economici, soprattutto in realtà organizzativamente complesse.

Per quanto qui interessa la Corte d’Appello ha ritenuto che risultasse l’evidente inadempimento da parte del datore di lavoro dell’obbligo 􏰀 di repêchage, che richiede una condotta attiva del datore di lavoro nel cercare di ricollocare il dipendente prima di procedere al licenziamento ed è stata pertanto applicata la tutela reintegratoria attenuata e non quella economica forte. 

Interessante è l’affermazione per cui la “manifesta insussistenza” può risultare anche all’esito dell’attività istruttoria, non essendo necessario che tale condizione risulti immediatamente già dagli atti o dai documenti.

Importante, nel merito, è altresì l’osservazione per cui l’arco temporale entro il quale valutare se sia stato adempiuto l’obbligo di repêchage decorre dal momento in cui è sorta la condizione di potenziale esubero, anche se precedente dell’avvio della procedura di licenziamento (nel caso quella avanti all’Ispettorato Territoriale del Lavoro prevista per i licenziamenti per motivo oggettivo dei lavoratori assunti fino al 07/03/2015, disciplinata dall’art. 7 􏰏 L 604/1966). Un dato assolutamente non indifferente nello specifico caso trattato. 

 

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