Cass. 4 luglio 2016 n. 13580
Il principio della immutabilità della contestazione dell’addebito disciplinare mosso al lavoratore ai sensi dell’art. 7 L. 300/1970 attiene alla relazione tra i fatti contestati e quelli che motivano il recesso e, pertanto, non riguarda la qualificazione giuridica dei fatti stessi, in relazione all’indicazione delle norme violate.
La Suprema Corte ha giudicato illegittimo il licenziamento inflitto al dipendente, sulla base, tuttavia, di una motivazione differente rispetto a quella della corte territoriale, e in base alla sproporzione del provvedimento espulsivo rispetto alla condotta contestata.
Nel caso di specie, infatti, il licenziamento per giusta causa era stato comminato al dipendente che, “mentre era in servizio con mansioni di piantone nell’ufficio di guardiania posto all’ingresso dell’area aziendale” aveva “consegnato sacchetti per la raccolta dell’umido ad un utente che gli domandava dove potesse acquistarli, facendosi corrispondere e trattenendo la somma di euro 10,00, anziché indirizzarlo alla isola ecologica deputata alla distribuzione e alla vendita di tali materiali”.
Secondo i giudici di legittimità, è del tutto legittimo l’operato dell’azienda che nella comunicazione del licenziamento per giusta causa ha indicato ulteriori violazioni del contratto collettivo, non contestate in precedenza nella lettera di addebito: qualora, infatti, tali ulteriori infrazioni siano propedeutiche ad una “lettura più articolata” del fatto, ma non ne aggiungano altri e diversi, il principio dell’immutabilità della contestazione non risulta violato. Nel caso in esame, infatti, l’oggetto della contestazione disciplinare “non ha subìto, in sede di licenziamento, modificazioni o ampliamenti”.