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Cass. 8 giugno 2015 n. 11789

Costituisce mobbing fumare davanti ad un lavoratore affetto da un’infiammazione alle vie respiratorie. Altrettanto lo è emarginarlo, sottoporlo ad atti vessatori e non assegnare al medesimo le mansioni per le quali è stato inquadrato.

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del Ministero delle Finanze e dell’Agenzia del Territorio, condannate a risarcire 50 mila euro a favore di un dipendente, a cui già dal 1997 era stata diagnosticata un’infiammazione alle vie aeree: sul punto i giudici di legittimità hanno evidenziato il danno da cd. Mobbing nel caso in cui il datore di lavoro non si adoperi in alcun modo per tutelate la salute del lavoratore, e qualora la mancata adozione delle cautele necessarie contro il fumo passivo risulti un atto volontario, al preciso scopo di perseguitare il dipendente.

Il mobbing, come noto, non scatta solo in presenza di una o più condotte illecite, ma deve essere individuato, a monte, un disegno preordinato e reiterato nel tempo, volto a vessare e perseguitare il dipendente. Ne deriva, nel caso di specie, il riconoscimento dell’inabilità permanente del 13%, come confermato in sede di consulenza tecnica, da intendersi come “lesione all’integrità psicofisica del soggetto e il danno esistenziale” per il peggioramento della qualità della vita.