Cass. 5 aprile 2016 n. 6575
È discriminatorio il licenziamento intimato alla lavoratrice che manifesta al datore di lavoro il proposito di sottoporsi all’estero a pratiche di inseminazione artificiale: viene così sanzionata una condotta legittima che è esclusiva della donna.
È illegittimo, in quanto discriminatorio, il licenziamento adottato peraltro da una donna – titolare di uno studio legale – nei confronti di una lavoratrice che abbia comunicato di doversi assentare dal lavoro a intermittenza per potersi sottoporre a un intervento di inseminazione artificiale, ipotesi equiparabile alla malattia e alla gravidanza, che, come noto, impongono al datore di non emettere provvedimenti espulsivi.
I giudici di legittimità, nell’applicare la direttiva europea n. 76/207 sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego che attua il principio di non discriminazione per ragioni di genere, hanno richiamato la pronunzia della Corte di Giustizia (sentenza 26 febbraio 2008 in causa C 506/06) che ha ritenuto discriminatorio il licenziamento comunicato alla lavoratrice prima dell’impianto nell’utero degli ovuli fecondati in vitro ove sia dimostrato che detto licenziamento è stato essenzialmente determinato dalla peculiare condizione in cui ella versava o dalia sua futura maternità.
Pertanto, la Suprema Corte ha confermato la decisione della Corte d’appello circa l’illegittimità del licenziamento, in quanto “la datrice di lavoro ha adottato un atto la cui ragione esclusiva e determinante risiede nella intenzione manifestata dalla dipendente di assentarsi ancora dal lavoro per sottoporsi all’inseminazione artificiale, così compromettendo il regolare funzionamento dello studio professionale. Rilevano dunque le future assenze dal lavoro indotte dalla inseminazione, quindi è sanzionata una condotta legittima che è esclusiva della donna”.