– a cura di Filippo Capurro –
Il trasferimento di ramo d’azienda è un ambito assai delicato del diritto del lavoro.
Infatti le conseguenze che ne derivano sono, tra l’altro, l’automatico passaggio dei lavoratori appartenenti al ramo ceduto, dal cedente al cessionario, senza necessità di alcuna adesione da parte delle maestranze coinvolte (art. 2112, comma 1, cod. civ.).
Viceversa, in assenza di un trasferimento d’azienda o di ramo d’azienda. l’unico modo per cedere il rapporto di lavoro da un datore di lavoro a un’altro è la cessione del contratto (art. 1406 e ss. cod. civ.) che richiede tuttavia il consenso dei lavoratori ceduti.
Distinguere le due fattispecie è pertanto essenziale in quanto la presenza o meno di una cessione d’azienda o di ramo comporta, come si è detto, implicazioni e conseguenze assai diverse.
Il caso affrontato dalla sentenza della Suprema Corte qui menzionata (Cass. 21264/2018) riguarda un’operazione effettuata da Telecom Italia S.p.A. inquadrandola in una “cessione di ramo d’azienda”, relativa ad un ramo denominato “Servizio clienti radiomarittimi” in “Its – Servizi marittimi e satellitari Spa”. A tale ramo o presumo tale appartenevano 76 lavoratori.
Secondo la Suprema Corte l’operazione non poteva qualificarsi come un trasferimento di ramo d’azienda in quanto “il brevissimo intervallo di tempo tra la ristrutturazione e la cessione (…) non consentiva di conferire, al ramo ceduto, una struttura dotata di apprezzabile autonomia organizzativa ed economica”.
Con riferimento, poi, alla asserita possibilità che l’autonomia del ramo ceduto possa sussistere anche in presenza di una “struttura dematerializzata o leggera costituita in prevalenza da rapporti di lavoro organizzati, in modo idoneo, anche potenzialmente, allo svolgimento di una attività economica”, osservano i giudici che “è ben possibile ciò ma, affinché si realizzi, è necessario che i lavoratori ceduti costituiscano un gruppo coeso per professionalità, con precisi legami organizzativi preesistenti alla cessione e specifico know-how tali da individuarli come una struttura unitaria funzionalmente idonea e non come una sommatoria di dipendenti”.
La conseguenza è dunque l’illegittimità del trasferimento dei lavoratori con la condanna della cedente – chiamata in causa nel giudizio “a ripristinare immediatamente il rapporto di lavoro (ndr: nella specie della lavoratrice ricorrente), reintegrandola in servizio nelle medesime mansioni già svolte o in mansioni ad esse equivalenti, nonché a corrisponderle le differenze retributive tra quanto percepito dalla data della cessione e quanto spettante a parità di inquadramento, ai dipendenti della Telecom Italia spa”.
Per un quadro d’insieme della nozione di azienda e di rampo d’azienda, anche alla luce della giurisprudenza nazionale e comunitaria, si rinvia alle slides e alla relazione accompagnatoria
, redatte in occasione del 29° Convegno Nazionale annuale di AIGLI – Associazione Internazionale Giuristi di Lingua Italiana, in materia di Trasferimento d’Azienda, che si è tenuto a Perugia nei giorni 22 – 25 settembre 2016, al quale è stata relatrice l’avv. Isabella Beccaria, Partner Fondatore dello Studio.