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 Cass., sez. lav., 28 ottobre 2013, n. 24260

Ai fini dell’efficacia del provvedimento di trasferimento del lavoratore, non è necessario che vengano contestualmente enunciate le ragioni del trasferimento stesso, atteso che l’art. 2103 Codice Civile, nella parte in cui dispone che le ragioni tecniche, organizzative e produttive del provvedimento suddetto siano comprovate, richiede soltanto che tali ragioni, ove contestate, risultino effettive e di esse il datore di lavoro fornisca la prova; pertanto, l’onere dell’indicazione delle ragioni del trasferimento, che in caso di mancato adempimento determina l’inefficacia sopravvenuta del provvedimento, sorge a carico del datore di lavoro soltanto nel caso in cui il lavoratore ne faccia richiesta – dovendosi applicare per analogia la disposizione ex art. 2 della legge n. 604/1966 sul licenziamento.

 Nel caso in esame la Suprema Corte ha dichiarato illegittimo il licenziamento disciplinare di una dipendente, intimato per assenza ingiustificata dal lavoro, per non essersi presentata presso i due appalti ai quali era stata destinata, poiché l’azienda non ha risposto nei tempi alla richiesta della lavoratrice di conoscere i motivi del trasferimento.

I giudici di legittimità hanno affermato, infatti, che l’onere dell’indicazione delle ragioni del trasferimento, che in caso di mancato adempimento determina l’inefficacia sopravvenuta del provvedimento, sorge a carico del datore di lavoro nel caso in cui il lavoratore ne faccia richiesta. Una volta accertata l’inosservanza del termine per la comunicazione dei motivi del trasferimento, il trasferimento deve considerarsi illegittimo, e dunque anche la condotta della lavoratrice, ritenuta dalla sentenza impugnata integrare la giusta causa di licenziamento, deve essere riesaminata alla luce di tale accertamento.