Cass. 23 marzo 2016 n. 5777
La giusta causa del licenziamento integra una nozione legale ed il giudice non è vincolato alle previsioni di condotte integranti giusta causa contenute nei contratti collettivi. Tuttavia ciò non esclude che ben possa il giudice far riferimento ai contratti collettivi e alle valutazioni che le parti sociali compiono in merito alla valutazione della gravità di determinati comportamenti rispondenti a canoni di normalità. Il relativo accertamento, dunque, va operato caso per caso, valutando la gravità in ragione delle circostanze di fatto. Ne discende che il giudice può escludere che un determinato comportamento costituisca di fatto, una giusta causa di licenziamento, pur essendo qualificato come tale dai contratti collettivi, solo in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato.
La Suprema Corte ha giudicato legittimo il licenziamento disciplinare comminato nei confronti di un lavoratore, scoperto a timbrare il cartellino di un collega assente: tale comportamento, infatti, configura una frode ai danni dell’azienda, a nulla rilevando la mancata previsione di tale comportamento tra le ipotesi di giusta causa di licenziamento previste dal contratto collettivo.
Sul punto i giudici di legittimità hanno rilevato che “la disinvolta violazione delle norme disciplinari e l’elusione dei sistemi di controllo approntati dalla datrice di lavoro rappresentavano sul piano soggettivo degli elementi che comportavano inevitabilmente il venir meno del rapporto di fiducia in termini incompatibili con la prosecuzione, sia pure temporanea, del rapporto e non consentivano di ritenere adeguata una mera sanzione conservativa”.