– a cura di Angelo Beretta –
In molte occasioni ci è capitato di vedere che le impostazioni di stampa delle buste paga prevedono lo spazio per la sottoscrizione del lavoratore.
La Suprema Corte con la sentenza 21699/2018 ha specificato il reale valore giuridico della menzionata sottoscrizione: sostanzialmente nessuno a esclusione della mera prova dell’avvenuta consegna del documento.
Spesso la busta paga viene fatta sottoscrivere ai dipendenti ancor prima che il datore di lavoro abbia materialmente provveduto al relativo pagamento e pertanto l’unico scopo della firma è esclusivamente quello della prova della consegna del documento fiscale al lavoratore.
Come indicato nella sentenza, la sottoscrizione opposta dal lavoratore alla busta paga non implica “in maniera univoca, l’effettivo pagamento della somma indicata nel medesimo documento, e pertanto tale espressione non è tale da potersi interpretare alla stregua del solo riscontro letterale, imponendo invece il ricorso anche agli ulteriori criteri ermeneutici dettati dagli articoli 1362 e seguenti cc”.
Anche nel caso in cui venisse riportata nella busta paga (unitamente alla firma del lavoratore) la dicitura “per quietanza”, il datore di lavoro – per essere effettivamente liberato dall’obbligazione retributiva – ha l’onere di dare la prova dell’avvenuto pagamento (non essendo sufficiente la raccolta della menzionata firma sul cedolino).
La Suprema Corte precisa poi che: “Solo la sottoscrizione apposta dal dipendente sui documenti fiscali relativi alla sua posizione di lavoratore subordinato (Cud e modello 101) costituisce quietanza degli importi indicati come corrisposti da parte del datore di lavoro, e ha il significato di accettazione del contenuto delle dichiarazioni fiscali e di conferma dell’esattezza dei dati riportati”.