Cass. 22 giugno 2016 n. 12910
In tema di verifica giudiziale della correttezza del procedimento disciplinare, il giudizio di proporzionalità tra violazione contestata e provvedimento adottato si sostanzia, invero, nella valutazione della gravità dell’inadempimento del lavoratore e dell’adeguatezza della sanzione, tutte questioni di merito che ove risolte dal giudice di appello con apprezzamento in fatto adeguatamente giustificato con motivazione esauriente e completa, si sottraggono al riesame in sede di legittimità.
Se la violazione del lavoratore corrisponde a una prassi ben comune all’interno dell’azienda il licenziamento è da considerarsi illegittimo.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso di una società contro la sentenza di merito che aveva ritenuto sproporzionati i provvedimenti espulsivi, in ragione del fatto che “dalla documentazione esaminata, nessuna perdita per ammanchi di magazzino era stata rilevata, sicché nessun danno nei suddetti termini, poteva essere ascritto ai dipendenti e nessun pregiudizio, in ragione dei premi corrisposti al personale, poteva essere configurato a carico della parte datoriale”.
Nello specifico, infatti, all’esito dell’istruttoria, era emerso il “complesso meccanismo” messo in atto da alcuni magazzinieri della società, “connotato dal compimento di artifici contabili volti ad alterare l’effettiva produzione industriale in relazione ad esigenze di budget aziendale, nel cui ambito la condotta assunta dai lavoratori, destinatari dei provvedimenti disciplinari, era priva di pregnante valore, sotto il profilo soggettivo, collocandosi nell’alveo di una prassi consolidata, della quale i vertici erano perfettamente a conoscenza, impartendo essi stessi, direttive al riguardo”: ne deriva l’illegittimità del licenziamento.