– a cura di Filippo Capurro – Marzo 2019 –
La pronuncia qui segnalata (Tribunale di Parma 18 febbraio 2018 est. Orlandi) riguarda la disciplina sui licenziamenti, applicabile ai contratti di lavoro a termine convertiti in rapporti a tempo indeterminato successivamente all’entrata in vigore del c.d. Jobs Act licenziamenti (che ha introdotto il c.d. contratto a tutele crescenti – d.lgs. 23/2015).
Una breve premessa.
L’art. 1, comma 1, d.lgs. 23/2015 recita: “Per i lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il regime di tutela nel caso di licenziamento illegittimo è disciplinato dalle disposizioni di cui al presente decreto.”
Il comma 2, a sua volta, recita: “Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano anche nei casi di conversione, successiva all’entrata in vigore del presente decreto, di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato.”
Nel caso di specie il giudice ha anzitutto dichiarato la nullità del termine. Di conseguenza il contratto è stato convertito a tempo indeterminato ex tunc, ossia dalla data originaria di assunzione a termine (il 2014).
E’ stato poi ritenuto applicabile l’art. 18 L. 300/1970 al recesso dal rapporto. Il giudice, a questo proposito, ha evidenziato che l’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 23/15, riguarda solo la conversione negoziale del rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato, ossia per accordo tra le parti, e non anche la conversione operata in sede giudiziale, la quale ultima determina la costituzione di un rapporto a tempo indeterminato con efficacia ex tunc.
Il termine “conversione” è quindi inteso come “trasformazione/prosecuzione di tipo negoziale del rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato, ossia per accordo tra le parti del contratto medesimo”.
Segnalo, sulla medesima questione, una particolarissima ordinanza di segno opposto (Tribunale di Roma 6 agosto 2018 ord. est. Rossi). La vicenda riguardava un licenziamento disciplinare intimato nei confronti di un lavoratore assunto a tempo determinato, il cui rapporto era stato trasformato a tempo indeterminato, su base volontaria, successivamente all’entrata in vigore del Dlgs 23/2015.
Il datore di lavoro aveva richiesto l’applicazione del regime sanzionatorio delle tutele crescenti, richiamando l’articolo 1, comma 2, del Dlgs 23/2015, ma il giudice non ha applicato tale regime sanzionatorio ritenendo rientranti nella norma solo le trasformazioni su base giudiziale ed escludendo quelle su base volontaria. Rinvio per un approfondimento sul tale pronuncia al mio intervento “Jobs Act e contratti a termine “trasformati” dopo il 07/03/2015: un’ordinanza che fa discutere”.
Infine mi pare interessante segnalare, sebbene non riguardi la specifica questione qui illustrata, che la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato sia avvenuta, nel caso che qui ci occupa, per un vizio che – pur previsto dalla legge – è sovente trascurato, ossia la mancanza della prova da parte del datore di lavoro di avere effettuato la valutazione dei rischi sulla sicurezza.