ScaricaStampa

– di Filippo Capurro – © RIPRODUZIONE RISERVATA

  1. Se il lavoratore chiede di poter esporre le proprie difese orali con l’assistenza di un avvocato: ne ha diritto? E comunque può convenire accordarglielo?
  2. Cosa si intende con l’espressione: “la procedura disciplinare deve  essere tempestiva?”
  3. Se il provvedimento disciplinare viene impugnato, lo stesso può venire autoritariamente modificato? O può solo essere confermato o annullato?

 

A queste tematiche cercheremo di dare risposta in questo approfondimento.

Si tratta argomenti importanti nel diritto del lavoro anche in considerazione del fatto che le procedure disciplinari possono a volte portare al licenziamento individuale del lavoratore.

 

1. Il lavoratore che chiede di esporre le difese orali con un legale

Cominciamo con la questione della difesa orale con l’assistenza di un avvocato.

Tutti sanno che l’art. 7, comma 3, L. 300/1970 prevede che il lavoratore può farsi assistere da un “rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato”.

Quindi non vi sono dubbi che una richiesta di assistenza di questo tipo sia lecita.

E cosa succede se il lavoratore chiede un’audizione orale con l’assistenza del proprio legale di fiducia?

L’opinione prevalente dei giudici è che il diritto del lavoratore di farsi assistere da un rappresentante sindacale esaurisce la tutela di legge, non essendovi in esso alcun esplicito riferimento alla difesa c.d. “tecnica” assicurata da un avvocato.  Ciò accade perché questo tipo di difesa è prevista solo per il giudizio e non può essere riconosciuta al di fuori di tale ipotesi se non in base ad una valutazione discrezionale del datore di lavoro. Né ha alcun rilievo la circostanza che il lavoratore, per gli stessi fatti oggetto dell’iniziativa disciplinare, sia chiamato a rispondere nell’ambito di un processo penale, considerata la diversità della sfera di interessi, privati e pubblici, su cui incidono i due procedimenti.

[Cass. 11/04/2017 n. 930 e Cass. 11/12/2009 n. 26023]

Ma è davvero importante porsi la questione ed è davvero consigliabile rispondere no al lavoratore che chieda la presenza del proprio avvocato?

Secondo la mia esperienza non solo è pericoloso negare questa possibilità al lavoratore, ma può persino risultare controproducente.

Ciò sia perché una sentenza disposta ad affermare l’illegittimità del rifiuto è pur sempre possibile, sia – soprattutto – perché può  risultare addirittura utile confrontarsi subito con un legale.

In questo senso va considerato che il datore di lavoro, in sede di audizione, deve limitarsi ad ascoltare le difese del lavoratore – nulla potendo aggiungere alla contestazione effettuata.

E’ pertanto in una posizione di sostanziale indifferenza rispetto a eventuali iniziative del legale avversario e ai suoi eventuali “tranelli”; quest’ultimo potrebbe chiedere dettagli rispetto alla contestazione scritta per poi in un secondo momento contestare l’incompletezza della contestazione originaria e la tardività delle “integrazioni”. Ma il semplice (legittimo) silenzio del datore di lavoro in sede di audizione  “disinnesca” queste insidie.

Tuttavia è possibile invece trarre grande utilità dal confronto informale con l’avvocato del lavoratore, sulle possibili soluzioni o percorsi alternativi volte a risolvere la vertenza e le tensioni del momento.

Ragioniamo dunque se lasciarsi scappare questa opportunità!

 

2. La “tempestività” è spesso equivocata

Passiamo alla delicata questione della tempestività della procedura disciplinare rispetto all’addebito.

La regola,  secondo cui il datore di lavoro non possa avviare procedure disciplinari per fatti già noti da tempo, è volta a evitare che il lavoratore sia tenuto immotivatamente “in scacco”, ossia rimanga esposto a reazioni del datore di lavoro a seconda degli umori del momento.

Il criterio di immediatezza va inteso in senso relativo, dovendosi tener conto della specifica natura dell’illecito disciplinare, nonché del tempo occorrente per l’espletamento delle indagini, tanto maggiore quanto più è complessa l’organizzazione aziendale (Cass. 11/04/2017 n. 9285).

Questo non significa che il datore di lavoro di grandi dimensioni, caratterizzato da strutture organizzative complesse, di per sé goda di un trattamento diverso dagli altri imprenditori e che i suoi dipendenti possano perciò solo essere meno tutelati.

Significa invece che  in presenza di un’obiettiva complessità delle circostanze dell’addebito, ove richiedano un accertamento più articolato – che è oltretutto un dovere del datore di lavoro – deve essere possibile  svolgere le indagini e verifiche di approfondimento  secondo le necessità del momento e quindi occupare un po’ più di tempo  rispetto alle ipotesi di addebiti semplici.

Si pensi  per esempio alla maggior laboriosità nell’accertare una malversazione aziendale di un dirigente, rispetto al mero fatto storico di una rissa in reparto.

 

3. La modifica “autoritativa” del provvedimento disciplinare

Concludiamo con le sorti dell’impugnazione del provvedimento disciplinare.

La regola  prevede che il provvedimento debba essere proporzionale alla gravità dell’infrazione. Il lavoratore che non ritenga sussistere tale proporzionalità, o che ritenga il provvedimento altrimenti viziato, può impugnarlo.

L’impugnazione può essere giudiziale o arbitrale.

Quella giudiziale è sottoposta al mero termine di prescrizione di cinque anni.

Il giudice può solamente confermare oppure annullare la sanzione comminata ma non ha il potere di modificare l’entità della pena applicata poiché in questo modo si sostituirebbe illegittimamente al datore di lavoro unico titolare del potere disciplinare [Cass. 29/10/2015 n. 22150].

Il lavoratore, anche per mezzo dell’associazione alla quale sia iscritto ovvero conferisca mandato, può altresì impugnare il provvedimento in sede arbitrale (art. 7, L. 300/1970).

Senza soffermarmi sui diversi aspetti procedurali, evidenzio che questo arbitrato è irrituale, ossia agli arbitri è devoluto il potere di comporre la vertenza tramite la sottoscrizione di un contratto. Il lodo – deliberato a maggioranza degli arbitri – può pertanto anche modificare il provvedimento, come è ad esempio una derubricazione della sanzione. Questa è sostanzialmente la prassi di molti Collegi, e a pensarci bene è meglio che sia così per entrambe le parti.

Si noti peraltro che la procedura arbitrale prima di essere di arbitrato è di conciliazione. Nella pratica vertenze del genere si compongono sovente tramite accordi.

Qui si apre un amplissimo scenario di soluzioni conciliative, a molti poco conosciute e che ho appreso e “congegnato” in anni di Presidenza di Collegi Arbitrali.

Ne parleremo un’altra volta!