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Cass. 20 giugno 2014 n. 14110  

Ai fini della valutazione del dipendente per la progressione di carriera, va considerato anche il periodo di assenza per maternità, salvo diversa e specifica previsione dei contratti collettivi: qualora la contrattazione decentrata richiedesse una articolata valutazione circa la qualità e quantità del servizio prestato, non troverebbe fondamento il diritto alla promozione reclamato dalla lavoratrice in maternità. 

È stato rigettato il ricorso della dipendente della Camera di Commercio, cui non è stato riconosciuto l’inquadramento nella categoria superiore dopo essere stata assente dal lavoro per la maternità obbligatoria e, in seguito, per un periodo di astensione facoltativa: la sua doglianza verteva sulla declaratoria del suo diritto ad essere più favorevolmente inquadrata sul presupposto di essere stata illegittimamente esclusa dal sistema di valutazione permanente per la progressione in carriera in quanto assente.

La Suprema Corte di Cassazione ha confermato il decisum della Corte di merito, chiarendo che la tutela della posizione di lavoro della lavoratrice madre, come del cittadino che adempiva alla leva, dell’infortunato o del malato, non può estendersi fino a far ritenere il periodo trascorso in adempimento del servizio militare di leva, in infortunio o in malattia oppure ancora in gravidanza e puerperio, come servizio effettivamente prestato, quando la valutazione di tale ultimo servizio sia il presupposto di una progressione nella carriera che non segua a mera anzianità: occorre invece, per la valutazione di merito del lavoro prestato, l’effettività della prestazione.