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– a cura di Angelo Beretta

Si definiscono persone con disabilità coloro che presentano una minorazione fisica, psichica o sensoriale stabilizzata o progressiva, che determina una difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa. La disabilità si considera grave se la minorazione, singola o plurima, ha ridotto l’autonomia personale, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale.

Le persone disabili e i loro familiari hanno diritto ad alcune agevolazioni assistenziali ai sensi ai sensi tra l’altro della Legge 104/1992. In particolare:

  • lavoratori disabili
  • genitori di figli disabili maggiorenni conviventi e non conviventi
  • parenti o affini entro il secondo grado
  • parenti o affini entro il terzo grado nell’ipotesi che il genitore o coniuge del disabile sia ultrasessantacinquenne, siano affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.

Con la sentenza 8209/2018 la Corte di Cassazione ha ribadito la legittimità di un licenziamento per giusta causa irrogato nei confronti di un dipendente che aveva deciso di godere dei permessi retribuiti ai sensi della menzionata L. 104/1992 per finalità rivelatesi poi esclusivamente personali, e questo a prescindere dal fatto che vi fosse stata o meno la reiterazione della condotta.

La Corte di Cassazione aveva già indicato che l’obbligo di assistenza continuativa al familiare non doveva essere intesa come una presenza costante di 24 ore continuative con il parente disabile, ma nel senso della priorità di assistenza, preservando dei momenti per compiere le proprie attività quotidiane.

La recente sentenza 23891/2018 conferma la legittimità della condotta di un lavoratore che negli orari di fruizione dei permessi si era recato a fare la spesa, quindi presso gli sportelli delle Poste e infine si era intrattenuto a parlare con un amico geometra di un’infiltrazione nell’appartamento della madre. Dalle deposizioni testimoniali nel giudizio di primo grado era emerso che tutte queste operazioni erano state intrattenute nell’interesse prioritario delle persone per le quali il lavoratore stava godendo i permessi, ossia la madre e la sorella entrambe in condizioni di grave handicap.

Per la Suprema Corte, solo “il comportamento del lavoratore che si avvale del permesso di cui all’articolo 33, L. 104/1992 non per l’assistenza al familiare, bensì per attendere ad altra attività, integra l’ipotesi di abuso di diritto, giacché tale condotta si palesa nei confronti del datore di lavoro come lesiva della buona fede, privandolo ingiustamente della prestazione lavorativa in violazione dell’affidamento riposto nel dipendente”.

E’ possibile scaricare Cassazione 4 aprile 2018 n. 8209

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E’ possibile scaricare Cassazione 02 ottobre 2018 n. 23891

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