– a cura di Filippo Capurro –
Due recenti pronunce cercano di rispondere a questo quesito.
Secondo Cassazione 28 settembre 2018 n. 23600, il fatto che la condotta illecita sia stata tenuta dal dipendente in esecuzione di un ordine impartito da un superiore gerarchico non vale a far venire meno la giusta causa di licenziamento, se il lavoratore era in grado di comprendere l’illegittimità dell’ordine ricevuto.
Nel caso specifico il lavoratore era stato licenziato per avere contabilizzato di alcuni lavori non eseguiti e aveva addotto a giustificazione del proprio illecito di avere ricevuto un ordine in tal senso dal proprio superiore gerarchico nell’ambito di una riunione a cui avevano partecipato altri colleghi.
Nel caso specifico, hanno osservato i giudici di legittimità, il lavoratore era evidentemente in grado di riconoscere autonomamente la natura illegittima della condotta richiestagli dal superiore e, pertanto, avrebbe potuto (e dovuto) porre a tale richiesta un rifiuto, o quantomeno un ostacolo.
In senso opposto si richiama Cassazione 2 ottobre 2018 n. 23878 secondo la quale deve ritenersi illegittimo il licenziamento per giusta causa inflitto al dipendente, neppure configurandosi il giustificato motivo soggettivo, laddove il venditore ha violato le procedure commerciali interne all’azienda in seguito a specifiche direttive e pressioni dei superiori in un sistema lavorativo talmente pervaso da pratiche irregolari da rendere difficile credere che il sottoposto potesse rifiutare di adeguarsi, non configurandosi la lesione dell’elemento fiduciario né il grave inadempimento soggettivo.
Sembra di comprendere dunque che l’elemento fiduciario dipenda in parte dal contesto ambientale del datore di lavoro.