Cass. 14 luglio 2014 n. 16091
Nonostante la nullità del recesso, va rigettata l’istanza di risarcimento del danno prodotto da inattività forzosa laddove l’interessato si limiti ad evidenziare l’elevato contenuto professionale delle sue mansioni e la durata dell’inadempimento
La Suprema Corte di Cassazione ha confermato il principio consolidato in base al quale l’inadempimento datoriale non comporta automaticamente il diritto del lavoratore al risarcimento del danno. Nello specifico, i giudici di legittimità, nel confermare l’illegittimità del recesso dal rapporto di lavoro, hanno negato il diritto del manager a ricevere il risarcimento del danno alla dignità, nonché da c.d. “perdita di chances”, dal medesimo preteso in relazione al prolungato periodo di inattività derivante dall’illegittimo recesso ante tempus: tanto in caso di demansionamento, quanto in ipotesi di totale inattività, non sussiste, secondo i giudici, un danno in re ipsa connesso alla potenziale lesività della condotta datoriale ma, al contrario, il lavoratore ha l’onere di allegare e provare sia lo specifico danno subìto, sia la sussistenza del nesso di causalità tra l’inadempimento del datore di lavoro e il danno patito.