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Cass. 15 aprile 2014, n. 8804

Non ha diritto al risarcimento dei danni da mobbing il dipendente che a causa di vessazioni del superiore, dei procedimenti penali collegati al lavoro e successivamente archiviati e dei sovraccarichi di lavoro, viene colpito da infarto, se non prova il nesso di causalità tra la attività lavorativa e la patologia cardiaca.

Nel caso di specie, i Giudici di Legittimità hanno precisato che “al fine dell’accertamento della responsabilità, di natura contrattuale, del datore di lavoro di cui all’art. 2087 cod. civ., incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro elemento”, mentre grava sul datore di lavoro – una volta che il lavoratore abbia provato le predette circostanze – “l’onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo“. Sulla base di tale argomentazione, la Suprema Corte di Cassazione ha così rigettato la richiesta di risarcimento danni del dipendente, sulla base del fatto che “la responsabilità del datore di lavoro per la violazione dell’obbligo posto dall’art. 2087 cod. civ. non ricorre per la sola insorgenza della malattia del lavoratore durante il rapporto di lavoro, richiedendosi che l’evento sia ricollegabile a un comportamento colposo dell’imprenditore che, per negligenza, abbia determinato uno stato di cose produttivo dell’infermità“.