Cass. 16 aprile 2014, n. 8897
Il diritto a percepire il compenso per la carica ricoperta dal professionista all’interno della società può essere vanificato solo da una grave inadempienza degli obblighi del mandato: la richiesta al giudice della quantificazione delle proprie spettanze viene meno se la delibera assembleare è stata accertata e posta in esecuzione senza riserve.
Nel caso in oggetto, La Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso della Società contro la decisione della Corte d’Appello di Bari che l’aveva condannata al pagamento, nei confronti di un amministratore, del compenso per le funzioni di componente del Consiglio di Amministrazione della medesima. I Giudici hanno argomentato che “in tema di compenso in favore dell’amministratore di una società di capitali, che abbia agito come organo, legato da un rapporto interno alla società, e non nella veste di mandatario libero professionista, la facoltà dell’amministratore di insorgere la facoltà dell’amministratore di insorgere avverso una liquidazione effettuata dall’assemblea della società in misura inadeguata, per chiedere al giudice la quantificazione delle proprie spettanze, viene meno, vertendosi in materia di diritti disponibili, qualora detta delibera assembleare sia stata accettata e posta in esecuzione senza riserve”. Ha poi aggiunto che “la pretesa di un amministratore di società per azioni al compenso per l’opera prestata ha natura di diritto soggettivo perfetto, sicché ove la misura di tale compenso non sia stata stabilita nell’atto costitutivo o dall’assemblea a norma degli artt. 2363 e 2389 c.c., può esserne chiesta al giudice la determinazione”.