Cass. sez. Pen. 20 marzo 2014 n. 13088
Il mobbing attuato dal direttore di produzione e del suo collaboratore in una azienda con 50 dipendenti, allocata in uno stabilimento di “notevole entità spaziale”, non è inquadrabile nel reato di maltrattamenti in famiglia ex art. 572 c.p.
La Suprema Corte è ormai orientata in maniera consolidata nel ritenere che le condotte persecutorie poste in essere dal lavoratore possano integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.), ma solo se realizzate in un contesto avente natura para familiare, in cui il rapporto intersoggettivo che si instaura tra datore di lavoro e lavoratore subordinato in quanto caratterizzato dal potere direttivo e disciplinare che la legge attribuisce al primo nei confronti del secondo.
Nel caso di specie, di fronte alla condanna di due soggetti rispetto a condotte vessatorie nei confronti di tre dipendenti donne (tra cui “approcci sessuali tanto verbali quanto fisici”), secondo i Giudici di Legittimità essi non sono punibili per il reato in questione poiché “non ogni fenomeno di mobbing – e cioè di comportamento vessatorio e discriminatorio – attuato nell’ambito di un ambiente lavorativo, integra gli estremi del delitto di maltrattamenti in famiglia, in quanto, per la configurabilità di tale reato, anche dopo le modifiche apportate dalla legge n. 172 del 2012, è necessario che le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (c.d. mobbing) si inquadrino in un rapporto tra il datore di lavoro ed il dipendente capace di assumere una natura para-familiare”.