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Cassazione 1 luglio 2016 n. 13516

Deve escludersi che affinché sussista il giustificato motivo oggettivo di licenziamento il datore di lavoro debba provare la necessità della contrazione dei costi dimostrando l’esistenza di sfavorevoli contingenze di mercato, a tal fine non bastando una sua autonoma scelta in tal senso, laddove diversamente opinando e cioè supponendo come indispensabile che l’impresa versi in sfavorevoli situazioni di mercato superabili o mitigabili soltanto mediante una riorganizzazione tecnico- produttiva e il conseguente licenziamento d’un dato dipendente, bisognerebbe ammetterne la legittimità esclusivamente ove essa tenda ad evitare il fallimento dell’impresa e non anche a migliorarne la redditività, laddove questa è una conclusione costituzionalmente impraticabile e illogica: in termini microeconomici, nel lungo periodo e in un regime di concorrenza, l’impresa che ha il maggior costo unitario di produzione è destinata ad essere espulsa dal mercato: ne consegue che quel che è vietato non è la ricerca del profitto mediante riduzione del costo del lavoro o di altri fattori produttivi, ma il perseguire il profitto (o il contenimento delle perdite) soltanto mediante un abbattimento del costo del lavoro realizzato con il puro e semplice licenziamento d’un dipendente che, a sua volta, non sia dovuto ad un effettivo mutamento dell’organizzazione tecnico-produttiva, ma esclusivamente al bisogno di sostituirlo con un altro da retribuire di meno, malgrado l’identità (o la sostanziale equivalenza) delle mansioni.