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– Luglio 2022 –

Corte d’Appello di Roma 20 settembre 2021

La sentenza qui segnalata deve essere considerata per valutare e gestire certe situazioni.

Parliamo della conservazione del rapporto di lavoro durante la malattia.

Sul punto l’art. 2110 cod. civ. dispone che, in caso di malattia – oltre che di infortunio, gravidanza o puerperio – il rapporto di lavoro viene sospeso e che il datore di lavoro non può licenziare il lavoratore malato se non sia scaduto il termine di conservazione del posto (cosiddetto “periodo di comporto“) previsto dai contratti collettivi o, in mancanza, dagli usi o secondo equità.

In altre parole, il lavoratore non può essere licenziato per il semplice fatto di essere malato salvo che la malattia si protragga oltre detto termine.

E’ principio consolidato che, in assenza di una specifica previsione del C.C.N.L., sul datore di lavoro non grava l’obbligo di avvisare il lavoratore del prossimo superamento del comporto (per tutte Cass. 17/08/2018, n. 20761 e Cass. 28/06/2006, n. 14891).

Nel caso che ci occupa, tuttavia, i giudici, pur affermando di condividere il menzionato rientramento, hanno rilevato come nelle buste paga fosse indicato un numero di assenze per malattia inferiore a quelle effettive e che ciò fosse idoneo a generare nel ricorrente un ragionevole affidamento sul numero di assenze conteggiate dalla società, tale da poter qualificare il mancato avvertimento dell’imminente superamento del comporto come condotta contraria a buona fede.

Di conseguenza la Corte ha ritenuto illegittimo il licenziamento e ha disposto la reintegrazione di un lavoratore non preventivamente informato dell’imminente superamento del importo.

Ancora un passaggio sulla correttezza e buona fede nell’esecuzione del rapporto di lavoro.

Sempre in relazione al periodo di comporto rinviamo ai nostri approfondimenti al seguente Link