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– Febbraio 2021 –

Il 24 febbraio è stato diramato un comunicato stampa della Corte Costituzionale . Per il momento non è ancora disponibile la motivazione della sentenza.

La pronuncia riguarda la questione di costituzionalità sollevata in relazione all’art. 18, comma 7, L. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori).

La norma si applica al licenziamento di Quadri, Impiegati e Operai dipendenti da datori di lavoro che occupano oltre 15 dipendenti e stabilisce, in relazione al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, che ove il giudice accerti che esso sia illegittimo per manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento, egli, in alternativa alla mera tutela economica (c.d. “tutela economica forte”), possa invece applicare la tutela della reintegra unita a un risarcimento fino a un massimo di 12 mensilità (c.d. “tutela reintegratoria debole”).

La Corte Costituzionale ha ritenuto che tale facoltà di scelta comporti una irragionevole disparità di trattamento tra il licenziamento economico (quindi appunto quello per giustificato motivo oggettivo) e quello per giusta causa, per il quale ultimo è previsto sempre e comunque, nel caso di insussistenza del fatto contestato e salvo vizi maggiori, la tutela reintegratoria debole.

Già la Corte di Cassazione (Cass. 13/03/2019 n. 7167 ) aveva in via interpretativa escluso tale facoltà del giudice, ma ora abbiamo la certezza “normativa”.

Rimane fermo, sia pure con le incertezze qualificatore del caso concreto, che “nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi” del giustificato motivo oggettivo e salvo vizi maggiori, vi sarà la mera sanzione indennitaria dalle 12 alle 24 mensilità.

La normativa sui licenziamenti appare allo stato particolarmente complessa perché è il portato di una stratificata e lunga serie di “ritocchi” (L. 92/2012 e d.lgs. 23/2015), il più delle volte scoordinati tra loro, che la rende alquanto ramificata, irrazionale e incerta e sui quali, in diverse altre occasioni, è già severamente intervenuta la Consulta.