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– a cura di Filippo Capurro – Agosto 2020 –

(1) La questione

Segnalo qui una pronuncia che ci da l’opportunità di ragionare sul tema del pagamento dell’indennità per ferie non godute al dirigente che cessa il rapporto di lavoro.

L’argomento mi preme particolarmente in quanto me lo ritrovo spesso, quando difendo i dirigenti in occasione della cessazione del rapporto di lavoro.

Capita infatti che alcuni colleghi – anche di studi blasonati –  al fine di pretendere di non pagare al mio cliente l’indennità per ferie non godute (sovente anche di importo significativo), mi oppongano il seguente principio che si rinviene  in giurisprudenza (ad es. Cass. 10/10/2017 n. 23697):

“Il dirigente licenziato ha diritto a monetizzare le ferie non godute solo per l’annualità in corso. Il manager, infatti, avendo il potere di attribuirsi il periodo di ferie senza alcuna ingerenza da parte del datore di lavoro, qualora non lo eserciti e non fruisca del periodo di riposo annuale, non può chiedere l’indennità sostitutiva a meno che non provi di non avere potuto fruire del riposo a causa di necessità aziendali assolutamente eccezionali e obiettive.” 

E’ questo un “mantra” che sento spesso ripetere acriticamente e che, se non calato nel caso specifico e interpretato alla luce dei principi vincolanti di diritto comunitario, può comportare conseguenze illegittime e va fermamente opposto in sede giudiziale.

 

(2) Una prospettiva più sottile è resa necessaria dalla normativa comunitaria

Passiamo al nostro caso di oggi.

La pronuncia Cass. 02/07/2020 n. 13613  ha affermato il principio per il quale il mancato versamento al dirigente dell’indennità per le ferie annuali non godute al momento della cessazione del rapporto di lavoro, si pone in contrasto con l’art. 7 Direttiva 2003/88/CE, oltre che con l’art. 36 della Costituzione.

La vicenda riguardava un dirigente medico di una AUSL. Le Parti si contrapponevano affermando, quanto al Dirigente che l’AUSL, che non aveva pagato le ferie non godute alla cessazione del rapporto, avrebbe dovuto allegare e provare (ai sensi dell’art. 20. comma 13 CCNL della dirigenza medica) – che lo stesso aveva disatteso una specifica offerta di fruizione del periodo di ferie da parte del datore di lavoro e quanto a quest’ultimo che il dirigente aveva ampi poteri discrezionali riguardo all’organizzazione dei propri tempi di lavoro e  he la mancata fruizione delle ferie non era pertanto imputabile all’azienda sanitaria.

La pronuncia qui segnalata si sviluppa sulla base di un ragionamento rigoroso che di seguito riporto.

Il diritto di ogni lavoratore alle ferie annuali retribuite deve essere considerato un principio particolarmente importante del diritto sociale dell’Unione, al quale non si può derogare e la cui attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla direttiva 2003/88.

Il suddetto diritto non soltanto riveste, in qualità di principio del diritto sociale dell’Unione, una particolare importanza, ma è anche espressamente sancito all’art. 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, cui l’art. 6, paragrafo 1, TUE riconosce il medesimo valore giuridico 5 dei Trattati (sentenza del 30 giugno 2016, C 178/15, punto 20 e giurisprudenza ivi citata).

L’art. 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88, in particolare, riconosce al lavoratore il diritto a un’indennità finanziaria per i giorni di ferie annuali non goduti e dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia emerge che tale norma deve essere interpretata nel senso che essa osta a disposizioni o pratiche nazionali le quali prevedano che, al momento della cessazione del rapporto di lavoro, non sia versata alcuna indennità finanziaria per ferie annuali retribuite non godute al lavoratore che non sia stato in grado di fruire di tutti le ferie annuali cui aveva diritto prima della cessazione di tale rapporto di lavoro.

L’art. 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale recante modalità di esercizio del diritto alle ferie annuali retribuite espressamente accordato da tale direttiva, che comprenda finanche la perdita del diritto in questione allo scadere del periodo 6 di riferimento o di un periodo di riporto, purché, però, il lavoratore che ha perso il diritto alle ferie annuali retribuite abbia effettivamente avuto la possibilità di esercitare il diritto medesimo.

Invece non è compatibile con il suddetto art. 7 una normativa nazionale che preveda una perdita automatica del diritto alle ferie annuali retribuite, non subordinata alla previa verifica che il lavoratore abbia effettivamente avuto la possibilità di esercitare tale diritto, infatti il lavoratore deve essere considerato la parte debole nel rapporto di lavoro, cosicché è necessario impedire al datore di lavoro di disporre della facoltà di imporgli una restrizione dei suoi diritti.

A tal fine il datore di lavoro è soprattutto tenuto – in considerazione del carattere imperativo del diritto alle ferie annuali retribuite e al fine di assicurare l’effetto utile dell’art. 7 della direttiva 2003/88 – ad assicurarsi concretamente e in piena trasparenza che il lavoratore sia posto effettivamente in grado di fruire delle ferie annuali retribuite, invitandolo, se necessario formalmente, a farlo e nel contempo informandolo – in modo accurato e in tempo utile a garantire che tali ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo e il relax cui esse sono volte a contribuire – del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato o, ancora, alla cessazione del rapporto di lavoro se quest’ultima si verifica nel corso di un simile periodo.

L’onere della prova, in proposito, incombe sul datore di lavoro.

 

(3) Conclusioni

E’ quindi di capitale importanza analizzare la situazione specifica aziendale caso per caso.

L’indennità sarà dovuta ove risulti ad esempio che, a causa di scoperture di organico o di altre situazioni organizzative, non era materialmente possibile per il dirigente fruire delle ferie o – a mio giudizio – lo era ma con conseguenze tali da recare danno all’azienda, in relazione alle quali, per i propri elevati obblighi di diligenza e buona fede, il dirigente (soprattutto se apicale) non poteva ragionevolmente soprassedere. 

E’ il datore di lavoro a doversi assicurare concretamente che il dirigente sia posto effettivamente nella condizione di fruire delle ferie. E, all’uopo, espressione di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto potrebbe essere, da parte del datore di lavoro, un invito formale al dirigente a godere le ferie e, nel contempo, un’informazione del fatto che, se egli non le fruisce, esse verranno perdute.

E, attenzione, non è il dirigente a dover provare che non ha potuto fruire delle ferie, ma il datore di lavoro a dover dimostrare che le complessive condizioni per l’efficace fruizione delle stesse erano presenti. 

 

Scarica Cass. 2 luglio 2020 n. 13613

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