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– di Filippo Capurro – Settembre 2019 – © RIPRODUZIONE RISERVATA

Dedico questo mio intervento all’illustre Collega giuslavorista Cosimo Francioso, che ci ha lasciati da qualche giorno, e che ricordo con rispetto e simpatia.

(1) Perimetro dell’indagine

Vorrei condividere alcune riflessioni sulle collaborazioni coordinate e continuative cosiddette “etero organizzate”.

Sebbene in questo contributo tratti anche il lavoro autonomo organizzato mediante “piattaforma” (la cui esplicazione più nota è quella dei c.d. rider), eviterò di soffermarmi sulle peculiarità di tale specifica fattispecie, che rischiano di inquinare la mia indagine e che richiederebbero uno studio a parte, e cercherò di mettere a fuoco gli aspetti comuni a tutte le collaborazioni etero organizzate.

In futuro, però, se avrete pazienza di leggermi, mi piacerebbe condividere la mia visione sul lavoro dei rider.

(2) Le collaborazioni coordinate e continuative

La collaborazione coordinata e continuativa (di seguito anche “co.co.co“)  è un tipo di lavoro autonomo caratterizzato dall’obbligo del collaboratore di svolgere, in via continuativa, una prestazione prevalentemente personale a favore del committente e in coordinamento con quest’ultimo. Questa tipologia di lavoro autonomo è contemplata dall’art. 409 n. 3 c.p.c., che ha anche esteso l’applicazione del rito del lavoro alle controversie che lo riguardano.

Si tratta in sostanza di una forma di lavoro che, pur in assenza di formale subordinazione, è caratterizzato da una spiccata soggezione economica al committente.

A ben vedere dunque, questo tipo di rapporto, definito parasubordinato, si differenzia dal lavoro dipendente per l’assenza del vincolo di subordinazione, come pure dal lavoro autonomo in senso stretto inteso come esercizio di arte o di professione, per il più incisivo coordinamento, e dall’attività imprenditoriale, per la mancanza di un’organizzazione di mezzi.

Su questo ultimo aspetto ricordo che il testo del menzionato l’art. 409 n. 3 c.p.c. è stato modificato di recente dall’art. 15, comma 1, lett. a), L. 81/2017.

Il testo odierno è il seguente:

“3) rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato. La collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa.”.

Quindi nelle co.co.co si è in presenza di un coordinamento concordato tra le parti del rapporto, nonché di una autonoma organizzazione da parte del prestatore di lavoro. Tratti entrambi che tendono quanto più a garantire, compatibilmente con questa figura ibrida di lavoro autonomo, l’autonomia del prestatore.

(3) Collaborazioni coordinate e continuative a “progetto”

Dal 2003 al 2015 la c.d. riforma Biagi (artt. 61 e ss. d.lgs. 276/2003), modificata in più passaggi, aveva vincolato la collaborazione coordinata e continuativa all’esistenza di un progetto. Si parlò quindi per oltre quindici anni di contratti a progetto: i famosi co.co.pro.. Non mi soffermo su questa esperienza, a mio giudizio fallimentare sotto numerosi punti di vista.

(4) Collaborazioni coordinate e continuative “etero organizzate”

Nel 2015, con il Jobs Act dei contratti, le co.co.co vennero affrancate dalla necessità del progetto, ma il legislatore sentì l’esigenza di mantenere una forma di tutela per quelle forme di parasubordinazione la cui costrittività è particolarmente accentuata, tali di avvicinarli, direi per alcuni caratteri tipici, al rapporto di lavoro subordinato.

In particolare l’art. 2, d.lgs. 81/2015 recita:

“1. A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali.”.

Quindi, per semplificare, quando una prestazione di lavoro autonomo, personale, coordinata e continuativa è anche eteroroganizzata dal committente, le si applicherà la stessa disciplina del lavoro subordinato.

(4.1) Le eccezioni

Al comma 2 vengono poi indicati alcuni casi ai quali la norma non si applica, i quali non sono di interesse ai fini del nostro discorso, ma nella pratica, se correttamente compresi e applicati, possono essere significativi.

In particolare il comma 2 recita:

“La disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione con riferimento: 

a) alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore; 

b) alle collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali e’ necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali; 

c) alle attività prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni; 

d) alle collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I., come individuati e disciplinati dall’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289[, nonché delle società sportive dilettantistiche lucrative]; 

d-bis) alle collaborazioni prestate nell’ambito della produzione e della realizzazione di spettacoli da parte delle fondazioni di cui al decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 3672. 

d-ter) alle collaborazioni degli operatori che prestano le attività di cui alla legge 21 marzo 2001, n. 743.”.

(5) Tertium genus?

Una prima domanda che ci si pone e se le collaborazioni eteroorganzzate rappresentino una nuova topologia di rapporto.

Una sentenza della Corte d’Appello di Torino, della quale parlerò tra poco, ritiene che la collaborazione autonoma etero-organizzata costituisca un tertium genus che si viene a porre tra il rapporto di lavoro subordinato (di cui all’art. 2094 c.c.) e la collaborazione coordinata e continuativa classica (quella dell’art. 409 n. 3, c.p.c.), per garantire una maggiore tutela alle nuove fattispecie di lavoro che, a seguito dell’introduzione di sempre più avanzate tecnologie, si stanno sviluppando. Così pure la sentenza del Tribunale di Roma infra menzionata.

A me pare invece che siamo di fronte a un rapporto di lavoro autonomo, ma al quale si applica la disciplina del lavoro subordinato semplicemente per effetto di una norma. L’art. 2, d.lgs. 81/2015, quindi, non disegna un nuovo tipo contrattuale, ma è una c.d. “fattispecie di applicazione”.

Con questa tecnica normativa il legislatore, a mio avviso, aggira la complessità di un’operazione qualificatoria oggi sempre più complessa, amministrando il problema in chiave di mera “disciplina applicabile”. 

(6) La nozione di “etero organizzazione”

Le questione centrale che si pone è cosa si intenda per prestazione di lavoro organizzata dal committente. Essa pone non poche incertezze poiché nell’ordinamento giuridico no esiste una nozione legale di etero organizzazione.

(6.1) La prassi amministrativa

Secondo la Circolare del Ministero del Lavoro 01/02/2016 n. 3, l’eteroroganizzazione deve riguardare contestualmente sia i tempi che il luogo della prestazione. In particolare, afferma il Ministero:

“La disposizione richiede I’applicazione delle “discipline del rapporto di lavoro subordinato” nell’ipotesi di rapporti di collaborazione che si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali e continuative, le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento “ai tempi e al luogo di lavoro” (c.d. etero-organizzazione). 

Pertanto, ogniqualvolta il collaboratore operi all’interno di una organizzazione datoriale rispetto alla quale sia tenuto ad osservare determinati orari di lavoro e sia tenuto a prestare la propria attività presso luoghi di lavoro individuati dallo stesso committente, si considerano avverate le condizioni di cui all’art, 2, comma 1, sempre che le prestazioni risultino continuative ed esclusivamente personali”. 

La Circolare precisa che il requisito della continuità deve intendersi come il “ripetersi in un determinato arco temporale al fine di conseguire una reale utilità” e che le prestazione debbano essere “organizzate dal committente quantomeno con riferimento “ai tempi e al luogo di lavoro.”. 

In sostanza, secondo il Ministero del Lavoro, il legislatore ha indicato le condizioni minime, in presenza delle quali alla collaborazione coordinata e continuativa si applicano le discipline del lavoro subordinato.

Tali condizioni devono ricorrere congiuntamente e sono: la personalità del rapporto, per cui il collaboratore non può farsi sostituire; la continuità, e una etero-organizzazione del lavoro, che si concreti almeno nella determinazione dei tempi e del luogo di lavoro.

Con la Circolare dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro del 03/04/2019, n. 6 relativa al lavoro nel Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico, dopo aver escluso l’applicazione della norma per varie ragioni qui non di interesse, l’INL sviluppa un passaggio che ritengo interessante al fine della ricerca del significato della nozione di etero organizzazione.

Viene precisato che:

“Le attività dei collaboratori in questione, proprio in ragione del loro contenuto, possono dunque ritenersi organizzate in funzione di tempi e di luoghi strettamente connessi alla necessità di far fronte ad un determinato evento, di solito di natura imprevedibile sia in relazione al suo verificarsi sia alla concreta attività richiesta per farvi fronte. 

Ragion per cui l’elemento della etero-organizzazione del committente, nell’ambito delle collaborazioni di cui alla L. n. 74/2001, appare intrinsecamente affievolito, atteso che non è quest’ultimo a poter scegliere compiutamente tempi e luoghi della prestazione.”.

Mi pare dunque si ribadisca la centralità delle esigenze organizzative del committente, inteso come soggetto che appresta i processi produttivi.

(6.2) La giurisprudenza

La giurisprudenza è ancora piuttosto scarsa sulla nozione di etero organizzazione. Alcune sentenze hanno trattato dei rider, peraltro nell’ambito di un indagine non sempre soddisfacente.

Limitando l’indagine alla questione che qui ci interessa:

Trib. Torino 27/12/2018 est. Buzano

Così ragiona il Tribunale:

“La norma dispone infatti che sia applicata la disciplina del rapporto di lavoro subordinato qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro: è quindi necessario che il lavoratore sia pur sempre sottoposto al potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro e non è sufficiente che tale potere si estrinsechi soltanto con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro perché deve al contrario riguardare anche i tempi e il luogo di lavoro. Così come è stata formulata, la norma viene quindi ad avere addirittura un ambito di applicazione più ristretto di quello dell’art. 2094 c.c..”

Qui abbiamo una sentenza che nega il senso steso della norma, ritenendola assorbita dalla generale nozione di subordinazione.

Del resto anche autorevole dottrina (prof. O Mazzotta) ha formulato la stessa provocazione, affermando che la disposizione non sembra introdurre alcuna innovazione perché finisce per rinviare chiaramente all’art. 2094 c.c..

Vi è da dire che la sentenza afferma anche che, in ogni caso, appare difficile parlare di organizzazione dei tempi di lavoro in un’ipotesi come quella oggetto di causa in cui i riders avevano la facoltà di stabilire se e quando dare la propria disponibilità ad essere inseriti nei turni di lavoro.

Quindi viene esclusa in ogni caso l’esistenza di una eteroroganizzazione quando vi sia autonomia del lavoratore nella scelta di quando rendere la prestazione lavorativa.

Lasciamo stare che nel caso concreto fosse vero o meno: il concetto giuridico è questo.

Cort. App. Torino 04/02/2019 pres. Fierro, rel. Rocchetti

Questa pronuncia ha riformato la sentenza del Tribunale di Torino ritenendo i rider etero organizzati.

In particolare la sentenza afferma che i rider:

“lavoravano sulla base di una “turnistica” stabilita dalla appellata, erano determinate dalla committente le zone di partenza, venivano comunicati loro tramite app gli indirizzi cui di volta in volta effettuare la consegna (con relativa conferma), i tempi di consegna erano predeterminati (30 minuti dall’orario indicato per il ritiro del cibo). Indubbiamente le modalità di esecuzione erano organizzate dalla committente quanto ai tempi e ai luoghi di lavoro..

Anche qui, non dibattiamo se nei fatti sia tutto vero, ma l’indicazione giuridica è importante.

L’indagine sulla esistenza della etero organizzazione ha riguardato:

  • la scelta dei blocchi temporali all’interno dei quali i rider potevano decidere di rendere la prestazione;
  • la zona di partenza;
  • gli indirizzi di consegna;
  • i tempi di consegna;
  • ma occorrerebbe anche aggiungere la strada da fare (perché essa è fortemente “suggerita” dagli applicativi a disposizione dei rider).

Quindi in sostanza si dice che è etero organizzato un’attività quanto la modalità di svolgimento della prestazione “influenza”, sia pure in modo abbastanza indiretto – ma in effetti non indifferente – il tempo e il luogo di lavoro.

Se uscissimo per un momento dal mondo incantato che vi promettevo nel titolo e tornassimo nella realtà, vincoli di questo tipo sarebbero tali da far cessare qualsiasi speculazione sulla esistenza o meno di una etero organizzazione perché di per sé idonei ad attrarre la prestazione nell’area della etero direzione e quindi della subordinazione vera e propria.

A chi come me opera costantemente con il contratto di agenzia, è noto che i giudici ritengono addirittura etero diretto e quindi subordinato (art. 2095 c.c.)  l’agente per il solo fatto che il “giro visite” sia fissato dal preponente.

Trib. Milano 10/09/2018 n. 1853 est. Dossi

Si tratta forse della sentenza più sofisticata della quale disponiamo in materia di rider, poiché affronta questioni molto rilevanti e sottili sulla morfologia della prestazione mediante piattaforma, con esiti sui quali peraltro non mi soffermo dato che qui, come ho promesso, mi limito a indagare solo la questione della etero organizzazione.

Su questo aspetto il giudice ha affermato che:

“Il fatto che, nel concreto svolgimento dell’attività, il ricorrente, una volta accettato di eseguire una consegna, fosse tenuto a portarla a termine nel minor tempo possibile, non vale ad integrare il parametro suindicato, non parendo configurarsi come organizzazione dei tempi di lavoro la richiesta, da parte del committente, di svolgere il lavoro entro un determinato termine.”

L’analisi sulla etero organizzazione è stata evasa con l’indagine sulla organizzazione dei tempi di lavoro: esclusa quella, viene esclusa anche la presenza di una etero organizzazione da parte del committente.

Trib. Roma 06/05/2019 est. Bracci

Questa sentenza affronta la questione della etero organizzazione in questi termini:

La norma postula quindi un concetto di etero-organizzazione in capo al committente che viene così ad avere il potere di determinare le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa del collaboratore e cioè la possibilità di stabilire i tempi e i luoghi di lavoro. 

Pur senza “sconfinare” nell’esercizio del potere gerarchico, disciplinare (che è alla base della eterodirezione) la collaborazione è qualificabile come etero-organizzata quando è ravvisabile un’effettiva integrazione funzionale del lavoratore nella organizzazione produttiva del committente, in modo tale che la prestazione lavorativa finisce con l’essere strutturalmente legata a questa (l’organizzazione) e si pone come un qualcosa che va oltre alla semplice coordinazione di cui all’ art. 409 n. 3 c.p.c., poiché qui è il committente che determina le modalità della attività lavorativa svolta dal collaboratore. 

Mi pare un approccio molto interessante perché  non sembra voler esaurire il perimetro dell’indagine ai tempi e ai luoghi di lavoro. Lo sforzo per dare contenuto alla nozione, in chiave di integrazione funzionale, non è da trascurare, sebbene appaia talmente affilato nella sua raffinatezza da ricordare alcune riflessioni ricostruttive sulla nozione stessa di subordinazione.

(7) Quale normativa sul lavoro subordinato è applicabile alle co.co.co etero organizzate?

Altro aspetto di interesse è stabilire quale normativa propria del lavoro subordinato – una volta accertata l’etero organizzazione delle co.co.oco – debba applicarsi al rapporto di collaborazione.

La norma non fa distinzione; quindi verrebbe da dire tutte le regole: igiene e sicurezza sul lavoro, retribuzione, inquadramenti, orario, ferie, previdenza, licenziamenti e così via.

La citata Corte d’Appello di Torino 04/02/2019 ha invece sostenuto che la normativa in materia di licenziamenti non si applicherebbe neppure in forza del meccanismo dell’art. 2.

Non è assolutamente facile comprendere la ragione di tale affermazione, essendo la sentenza alquanto sbrigativa sul punto. Non è possibile escludere che il rigetto delle domande sul recesso possa dipendere da circostanze peculiari della causa, quali, per fare un esempio, la presenza (e la relativa salvezza) di un termine apposto al contratto. 

Senza un’adeguata spiegazione, la soluzione della Corte d’Appello di Torino, è a mio giudizio, dato il tenore letterale della norma, non corretto.

Ammetto tuttavia che una tale soluzione presenta un suo appeal, poiché – ma a questo punto de iure condendo – le tutele estese artificialmente a un rapporto di lavoro autonomo potrebbero essere ritenute sufficienti in relazione anche solo alla vita del rapporto e non necessariamente alla sua cessazione.

(8) L’intervento normativo sulle collaborazioni “organizzate mediante piattaforme anche digitali”

Una particolare segnalazione merita l’emanazione del D.L. 03/09/2019 n. 101, che cerca di dare una disciplina di tutela ai lavori organizzati mediante piattaforma (avendo in mente essenzialmente la figura dei rider).

Per quanto qui ci interessa, l’art. 1, comma 1, lett. a), aggiunge alla norma che stiamo trattando (in particolare alla fine dell’art. 2, comma, d.lgs. 81/2015) la seguente frase: “Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità  di esecuzione  della  prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali.”.

A prima vista si tratta di una norma del tutto inutile. Perché dire che la norma sulla etero organizzazione si applica anche alle co.co.co che hanno quale particolare oggetto le prestazione organizzata mediante piattaforma? L’art. 2, comma 1 d.lgs. 81/2015 ha infatti, salve le eccezioni contenute nel successivo comma 2, una vocazione generalista.

La norma potrebbe dunque avere, a mio giudizio, una delle seguenti interpretazioni:

  1. o vuole ricordare che le prestazioni lavorative organizzate mediante piattaforma possono essere autonome, tanto è vero che si sottolinea la possibile applicazione di una norma che appunto riguarda il lavoro autonomo coordinato e continuativo. Quindi, per intenderci, se l’organizzazione mediante piattaforma dovesse trascendere in etero organizzazione, allora alle prestazioni si applicherà la normativa sul lavoro subordinato. Se invece non assumesse quella deriva, allora la prestazione rimarrebbe disciplinata dalle regole del lavoro autonomo;
  2. oppure vuole dire che ogni forma di organizzazione del lavoro mediante piattaforma integri il requisito della etero organizzazione, con la conseguente applicazione, sempre e comunque, della normativa sul lavoro subordinato.

Personalmente mi parrebbe in astratto più logica la prima interpretazione, ancorché tautologica. Ma in realtà il legislatore aveva in mente la seconda.

In concreto tendo a ritenere che, nelle piattaforme cosiddette on demand, residui poco spazio per lavori non eterodiretti (e quindi non subordinati). Diverso è il caso – che però qui non ci riguarda – delle sharing platform che realizzano l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro mettendo in contatto prestatori d’opera o servizio e clienti.

(9) Cosa posso dire del magico viaggio in questo mondo incantato?

i) L’impressione che si trae dalla prassi e dalle sentenze è che queste prime interpretazioni dell’art. 2 non abbiano colto tratti particolarmente innovativi della norma, forse anche per l’assenza di respiro sistematico della stessa che, per ora, sembra creare più problemi che tutele;

ii) prassi e giurisprudenza tendono a valorizzare quali elementi essenziali tempo e luogo della prestazione e, solo marginalmente, l’integrazione funzionale del lavoratore nella organizzazione produttiva del committente quale vincolo esterno sulle modalità di esecuzione della prestazione, tale da renderla allineata e funzionale ai processi organizzativi aziendali;

iii) non sono certo che la norma dica effettivamente che l’etero organizzazione debba riguardare sempre e congiuntamente tempo e luogo di lavoro. L’art. 2 stabilisce infatti l’applicazione della normativa sul lavoro subordinato alle co.co.co le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”. Vedrei l’“anche” come un “ad esempio”;

iv) invece penso che debba prevalere l’indagine sull’integrazione funzionale, anche se non è escluso che così facendo non si finisca per guardare in direzione della subordinazione;

v) quel che è certo è che in un ordinamento giuridico in cui il tempo del lavoro è concetto estremamente elastico persino nel lavoro subordinato (si pensi al lavoro agile o al lavoro a chiamata senza obbligo di risposta)  e  il luogo di lavoro è ormai fortemente destrutturato (anche grazie alle possibilità tecnologiche), giocare una partita così importante solamente su questi due fattori abbia quasi della “magia”.