– Luglio 2021 – a cura di Filippo Capurro –
Trib. Roma 27/02/2021 est. Tizzano
Riprendendo la news di qualche giorno fa, segnalo un’ulteriore pronuncia in materia di discriminazione connessa alla genitorialità quale autonomo fattore di potenziale discriminazione, anch’essa esito di un ricorso ex art. 38 d.l.gs. 198/2006.
La ricorrente, madre di due minori con la medesima conviventi, uno dei quali infra dodicenne, deduceva di essere stata costretta ad effettuare ore di lavoro notturno e di essere stata posta in una condizione di svantaggio rispetto agli altri lavoratori e alle altre lavoratrici non genitori di figli minori per effetto dell’esclusione dal beneficio dell’esenzione dal lavoro notturno.
Rileva il Giudice che, secondo l’art. 25, co. 2 bis d.lgs. n. 198/2006 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna) “Costituisce discriminazione, ai sensi del presente titolo, ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti” e che la maternità costituisce ancora oggi un importante fattore di discriminazione diretta sul mercato e all’interno delle dinamiche lavorative.
L’art. 11, comma 2, lett. b) del d.lgs. n. 66/2003 (Attuazione delle direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro), inoltre, dopo aver previsto il divieto delle donne al lavoro dalle ore 24.00 alle ore 06.00, dall’accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino, ha disposto che “non sono inoltre obbligati a prestare lavoro notturno: (…) b) la lavoratrice o il lavoratore che sia l’unico genitore affidatario di un figlio convivente di età inferiore a dodici anni”.
E’ dunque prevista una tutela differenziata in favore delle lavoratrici madri, consistente in una disparità c.d. vantaggiosa, avente la funzione di riequilibrare la posizione di tali soggetti, portatori di un fattore di diseguaglianza, rispetto ai lavoratori di sesso maschile e alle lavoratrici senza figli ‘in situazione analoga’.
La contrattazione collettiva del settore stabiliva che si considera lavoro notturno “quello eseguito tra le ore 22 e le ore 5 antimeridiane”.
Interessante il passaggio della pronuncia nel quale si rileva che la concessione da parte del datore di lavoro alla lavoratrice di cessare il lavoro alle ore 24.00 anziché alle 00.15, sarebbe stato effettuata in base a un’interpretazione errata della norma.
Infatti l’inserimento, pur con il menzionato correttivo, nella consueta turnazione al pari dei suoi colleghi con medesimo inquadramento e funzioni, avrebbe “prodotto un risultato sostanzialmente identico a quello che il legislatore mirava e mira ad evitare; risultato da ritenersi, certamente, discriminatorio atteso che l’inserimento nella consueta turnazione sia pur con l’esenzione dalle ore 24 anziché dalle ore 22 ha ricreato quella situazione di svantaggio in ragione di maternità che, appunto, la norma tendeva a neutralizzare”.
Viene altresì ribadito che, al fine di integrare la fattispecie discriminatoria, “è sufficiente la prova dell’effetto pregiudizievole, essendo prevalsa una nozione oggettiva nella interpretazione della giurisprudenza nazionale ormai conforme all’orientamento della giurisprudenza eurocomunitaria saldamente ancorata ad una concezione funzionale dell’illecito discriminatorio”.
Ritenuta sussistente la discriminazione lamentata, il Giudice ha ordinato al datore di lavoro la cessazione del comportamento illegittimo, con la concessione alla lavoratrice dell’esenzione dal lavoro notturno dalle ore 22.00.
Sullo stesso tema rinvio su questo sito a “Discriminatoria la norma di un accordo sindacale che prevede la decurtazione del premio di produzione per assenze per paternità” .