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– a cura di Filippo Capurro – Marzo 2019 –

L’obbligo di repêchage ha essenzialmente origine giurisprudenziale e consiste nel fatto che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è considerato legittimo solo se non esistono altre mansioni attribuibili al lavoratore in esubero.

Il licenziamento deve essere l’extrema ratio, dovendo sempre essere preferita, laddove possibile, l’assegnazione al lavoratore di una posizione alternativa. Il datore di lavoro deve, assegnare al lavoratore le mansioni disponibili, se necessario anche inferiori, e solo ove ciò non sia possibile, procedere al licenziamento.

Per verificare l’assolvimento di tale obbligo, il giudice considera anche le assunzioni effettuate nel periodo precedente e successivo al licenziamento, le quali possono costituire indizio dell’esistenza di mansioni disponibili non attribuite al lavoratore licenziando e quindi della violazione dell’obbligo di repêchage.

Sul repêchage mi sia consentito rinviare anche al mio “Dieci questioni pratiche in materia di repêchage nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo”.

La giurisprudenza dà atto tuttavia che il repêchage va attuato nei limiti dell’assetto organizzativo dell’impresa, nella quale non sempre sono disponibili mansioni alternative da affidare al lavoratore licenziando.

L’ordinanza qui segnalata è interessante in quanto affronta la questione se sia assolto l’obbligo di repêchage con la proposta al lavoratore di riduzione del suo orario di lavoro, nei casi in cui non siano disponibili posizioni a tempo pieno in cui ricollocare la risorsa in esubero.

E’ opportuno ricordare che, di per sé, il rifiuto del dipendente di trasformare il proprio orario lavorativo da tempo pieno a tempo parziale, o viceversa, non può costituire giustificato motivo di licenziamento (art. 8, comma 1, d.lgs. 81/2015).

Tuttavia  le cose cambiano se la proposta del datore di lavoro di modificare l’orario lavorativo del dipendente sia finalizzata a ricollocare il lavoratore a seguito di una riorganizzazione aziendale, al fine di evitare il licenziamento.

Il principio affermato nell’ordinanza qui segnalata (Cass. 21/01/2019 n. 1499), rappresenta un bilanciamento tra la sopra menzionata norma di tutela contro la discriminazione o la ritorsione connessa al rifiuto del lavoratore di modificare l’orario di lavoro e il diritto del datore di lavoro a riorganizzare l’attività aziendale.

In particolare, si afferma nell’ordinanza, può considerarsi dimostrato l’avvenuto e utile tentativo di repêchage da parte del datore di lavoro che, in alternativa al licenziamento, proponga al dipendente in esubero di modificare il proprio orario di lavoro. Se il lavoratore rifiuta la proposta di modifica d’orario, il successivo licenziamento si considera legittimo.

In sostanza dunque l’assolvimento da parte del datore di lavoro dell’obbligo di tentare la ricollocazione del dipendente in altre posizioni organizzative prima di procedere al recesso può essere assolto con la proposta al lavoratore di ridurre il proprio orario di lavoro, nei casi in cui non vi siano posizioni a tempo pieno in cui ricollocare la risorsa in esubero.

Scarica Corte di Cassazione Cass. 21 gennaio 2019 n. 1499

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