– a cura di Filippo Capurro –
La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo il sistema di calcolo dell’indennizzo in caso di licenziamento ingiustificato introdotto dal Jobs Act in relazione ai lavoratori assunti dal 07/03/2015 da datori di lavoro che occupano oltre 15 dipendenti.
Le c.d. “tutele crescenti” (d.lgs. 23/2015) – per i lavoratori assunti dal 07/03/2015 – avevano fortemente limitato la sanzione della reintegrazione nel posto di lavoro e le altre sanzioni economiche previste dall’art. 18 L. 300/1970 (come riformato dalla Legge Fornero n. 92/2012), sostituendole – nei licenziamenti economici e in parte, in quelli disciplinari – con ristori monetari certi e crescenti in base agli anni di anzianità di servizio.
La norma (articolo 3, comma 1, del Dlgs 23) aveva infatti previsto – per i datori di lavoro con oltre 15 dipendenti – una indennità economica che parte da un minimo di quattro mensilità fino ad arrivare a un massimo di 24 mensilità, sulla base di un meccanismo di calcolo (a salire) di due mensilità ogni anno di servizio.
Il Decreto Dignità (DL 87/2018, convertito con modifiche dalla L. 96/2018) ha di recente ritoccato queste sanzioni, stabilendo che l’indennizzo debba essere pari a un minimo di sei mensilità e possa arrivare a un massimo di 36.
Secondo la Corte Costituzionale, però, “la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio del lavoratore” è “contraria ai principi di ragionevolezza e di uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli articoli 4 e 35 della Costituzione”.
Per il momento la Consulta ha pubblicato solamente una breve nota, mentre la sentenza completa sarà depositata nelle prossime settimane.
Le conseguenze della decisione non sono ancora del tutto chiare ma saranno senz’altro incisive e verosimilmente consisteranno nella maggiore autonomia dei giudici nello stabilire l’ammontare degli indennizzi conseguenti a licenziamento illegittimo. Ciò a meno che, per la morfologia della decisione, non si determini un vuoto normativo, cosa che avrebbe implicazioni ancora più complesse.
Le implicazioni della decisione si estenderanno anche ai licenziamenti collettivi, ai quali si applica lo stesso sistema di tutela (art. 3, comma 1, d.lgs. 23/2015, richiamato dal successivo art. 10) nel caso di violazione dei criteri di scelta.
E’ comunque assai probabile che, per decidere le cause in corso, i giudici attenderanno la motivazione della sentenza, come avvenne nel 2011, quando si stava aspettando la pronuncia della Consulta sui contratti a termine.
E’ bene dunque oggi aumentare attenzione e prudenza nell’effettuare manovre di licenziamento.
Vi terremo aggiornati a tempo reale sugli sviluppi.