Cass. 1 aprile 2014, n. 7567
Alla luce dell’intervento della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, l’art. 1751, co.6 c.c., deve interpretarsi nel senso che il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all’agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore, siccome la prevista inderogabilità a svantaggio dell’agente comporta che l’importo determinato dal giudice ai sensi della normativa legale deve prevalere su quello, inferiore, spettante in applicazione di regole pattizie, individuali o collettive.
Nel caso di specie, in tema di diritto all’indennità di cessazione del rapporto di agenzia come compenso riconosciuto all’agente per compensare l’incremento patrimoniale che la sua attività patrimoniale ha recato al preponente, la Suprema Corte di Cassazione ha stabilito l’illegittimità del comportamento dell’azienda che ha negato tale diritto ad un agente dimissionario, a seguito di cessazione di attività a causa di eventi estranei alla gestione stessa dell’azienda. Secondo i giudici di legittimità, dunque, l’art. 1751 c.c. rende illegittimo qualsiasi patto contrario, stipulato a sfavore dell’agente, mentre i vantaggi devono essere in re ipsa, cioè palesi, facilmente dimostrabili, e “resta irrilevante la circostanza che i vantaggi derivanti dai contratti in questione non possano essere ricevuti dal preponente per suo fatto volontario“, che può essere per dimissioni o, come in questo caso, per avvenuta cessione di azienda. Il giudice, pertanto, deve sempre applicare l’interpretazione dell’art. 1751 c.c. che risulti maggiormente di favore per la parte debole del rapporto, cioè l’agente.