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– a cura di Filippo Capurro – Agosto 2019 – 

Oggi propongo una riflessione, principalmente ad uso dei Colleghi, sebbene trovi che possa essere di interesse anche per coloro che si affidano a noi avvocati per la tutela dei propri diritti.

Mi riferisco alla interlocuzione verbale e scritta che intratteniamo tra avvocati, sia in fase di esposizione delle richieste dei nostri assistiti, sia in fase negoziale.

Sull’argomento osservo che la diffida di un avvocato nei confronti della controparte, qualora presenti un contenuto apertamente minatorio, può integrare il reato di estorsione, anche solo tentata, quando la gravità della minaccia abbia una portata tale da annullare la volontà del soggetto che la subisce.

Viceversa, nel caso in cui le minacce non raggiungano un tale effetto, potrà configurarsi il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

Così precisa Cass. pen sez. II, 08/07/2019 n. 29585  (conformi Cass. pen sez. II, 05/04/2017, n. 31725, Cass. pen sez. II, 03/07/2018, n. 55137).

Ricordo che l’art. 629, comma 1, cod. pen. recita: Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 1.000 a euro 4.000.”.

A sua volta l’art. 393 cod. pen. recita: “Chiunque, al fine indicato nell’articolo precedente, e potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sé medesimo usando violenza o minaccia alle persone, è punito, a querela dell’offeso, con la reclusione fino a un anno.”.

Nel caso trattato dai giudici della sentenza sopra segnalata, veniva contestato a un avvocato di avere inviato, nell’interesse legittimo del proprio cliente, delle diffide ad adempiere alla controparte dal contenuto apertamente e gravemente minatorio. Nelle stesse, oltre a prospettarsi legittimamente l’apertura di procedure giudiziali a tutela della propria assistita, il legale minacciava altresì di screditare l’immagine della controparte e di rivelare la commissione di reati posti in essere in altri contesti e di violazioni fiscali imputabili alla medesima.

Veniva accertato che, nel caso di specie, l’intenzione del ricorrente fosse quella di agire a tutela di un diritto di credito concretamente esistente in capo al proprio assistito e, tenuto conto di tale aspetto, ad avviso della Corte di Cassazione le forme utilizzate nelle diffide non erano tali da integrare una intimidazione così grave da costituire estorsione. 

Sul punto la Suprema Corte ha precisato come il reato di estorsione ed il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni non differiscano tra di loro in relazione al fatto che sussista o meno una pretesa legittima a fondamento dell’azione intimidatoria, bensì in base alla gravità della minaccia o violenza realizzata: si può, pertanto, configurare una ipotesi di estorsione laddove un soggetto, pur agendo per una ragione giuridicamente tutelabile, eserciti una minaccia o violenza tale da annientare la capacità di reazione della vittima arrivando al punto di coartare la volontà della medesima. 

Nel caso in esame, la pressione esercitata dall’avvocato con le proprie diffide, per quanto esorbitante il limite della liceità, non era stata tale da determinare quella situazione di totale sopraffazione della vittima richiesta ai fini dell’integrazione della fattispecie di estorsione. Dunque, la condotta posta in essere era sì illecita, ma tale da integrare il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone e non quello di estorsione. 

Ricordo infine gli obblighi derivanti dal Codice Deontologico Forense . L’art. 65 prevede che: “1. L’avvocato può intimare alla controparte particolari adempimenti sotto comminatoria di azioni, istanze fallimentari, denunce, querele o altre iniziative, informandola delle relative conseguenze, ma non deve minacciare azioni o iniziative sproporzionate o vessatorie.”

Ho avuto modo di notare in passato che, a volte, il livello e gli argomenti proposti da alcuni colleghi, sono stati estremamente disinvolti. E’ possibile che, in alcuni casi, i colleghi non si siano resi conto del disvalore, anche sul piano penale, di simili condotte, ma non è mai troppo tardi per un esame di coscienza da parte di tutti.

I nostri clienti hanno infatti il diritto di essere difesi con la massima cura, professionalità ed efficacia, ma altresì di preservare un immagine che nel tempo costruirà per loro un patrimonio di credibilità e di prestigio concretamente spendibile sul mercato e sul piano personale. Lo stesso vale per noi avvocati. La mia esperienza mi porta infatti a poter affermare che la mancanza di correttezza da parte di un avvocato crea una nomea nell’ambiente tale da finire sovente per pregiudicare gli stessi clienti che allo stesso si affidano.

Scarica Cassazione 8 luglio 2019 n. 29585

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