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La registrazione di conversazioni effettuate sul posto di lavoro da parte di un dipendente all’insaputa dei colleghi non costituisce condotta suscettibile di sanzione disciplinare.

Questo principio vale se la registrazione è stata effettuata dal lavoratore, presente alla conversazione, per la tutela dei propri diritti.

La Suprema Corte ha affermato che, alla luce del Codice Privacy, il trattamento dei dati personali, tra i quali rientrano le informazioni acquisite tramite le immagini e la voce della persona fisica, presuppone di norma il consenso dell’interessato, ma precisa anche che vi si possa prescindere se la raccolta dei dati interviene per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria o per svolgere investigazioni difensive. 

Quindi, per fare un esempio, se l’iniziativa di registrare si colloca ad esempio in un clima conflittuale con i superiori e sono effettuate allo scopo di precostituire le prove da esibire in un futuro non vi sono dunque problemi.

Deve però evidenziarsi in senso contrario la pronuncia Cass. 11999/2018, in un passaggio della quale si legge:

“(…) che, in ogni caso, questa Corte ha già affermato che la registrazione di conversazioni tra presenti all’insaputa dei conversanti configura una grave violazione del diritto alla riservatezza, con conseguente legittimità del licenziamento intimato (Cass. n. 26143 del  2013, Cass. n.  16629 del 2016); (…)”

Dunque un monito ai datori di lavoro e a chi opera come superiore gerarchico: attenzione a cosa si dice!!!

Scarica Cassazione 10 maggio 2018 n. 11322

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Scarica Cassazione 16 maggio 2018 n. 11999

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