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– a cura di Filippo Capurro e Alessia Capella– Febbraio 2020 –

(1) Il caso

Il caso (Cort. App. di Milano 15 gennaio 2020 n. 1974, pres. Trogni rel. Poli), che abbiamo seguito per conto di un nostro cliente, riguardava una  riduzione di retribuzione concordata tra un azienda e un gruppo di dipendenti, nella prospettiva di un altrimenti possibile licenziamento per vere o presunte difficoltà aziendali. 

Nel caso specifico la modificare della retribuzione era avvenuta: a) al di sotto dei minimi retributivi di C.C.N.L. (nel caso il TMG dei dirigenti industria); b) in assenza di una effettiva modifica delle mansioni; (c) in assenza di alcuna motivazione rilevante per legge (si dirà infra); (d) fuori dalla c.d. sede protetta.

Dopo un certo periodo il lavoratore aveva nostro tramite diffidato il datore di lavoro a ripristinare la retribuzione e, scaduto il termine concesso a tale fine, si era dimesso per giusta causa.

Era seguito un giudizio volto a recuperare le differenze retributive perse a causa della riduzione di retribuzione, nonché che l’indennità sostitutiva del preavviso.

(2) Il nuovo art. 2103 c.c.

L’art. 2103 c.c. recita

“1. Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte.

2. In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale. 

3. Il mutamento di mansioni è accompagnato, ove necessario, dall’assolvimento dell’obbligo formativo, il cui mancato adempimento non determina comunque la nullità dell’atto di assegnazione delle nuove mansioni. 

4. Ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, possono essere previste dai contratti collettivi. 

5. Nelle ipotesi di cui al secondo e al quarto comma, il mutamento di mansioni è comunicato per iscritto, a pena di nullità, e il lavoratore ha diritto alla conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa. 

6. Nelle sedi di cui all’articolo 2113, quarto comma, o avanti alle commissioni di certificazione, possono essere stipulati accordi individuali di modifica delle mansioni, della categoria legale e del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita. Il lavoratore puo’ farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro. 

7. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il lavoratore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione diviene definitiva, salvo diversa volontà del lavoratore, ove la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro lavoratore in servizio, dopo il periodo fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, dopo sei mesi continuativi. 

8. Il lavoratore non può essere trasferito da un’unita’ produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive. 

9. Salvo che ricorrano le condizioni di cui al secondo e al quarto comma e fermo quanto disposto al sesto comma, ogni patto contrario e’ nullo.”

E’ dunque previsto un principio di irriducibilità della retribuzione prevedendo che la stessa non muti neppure in caso di passaggio a mansioni inferiori. Formano eccezione elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa.

Come si è visto, ai sensi del comma 6, sono possibili accordi di modifica delle mansioni , del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, qualora:

  1. tali modifiche siano effettuata nell’interesse del lavoratore al fine di assolvere uno dei tre obiettivi elencati dalla norma (a) interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, o b) all’acquisizione di una diversa professionalità, o c) al miglioramento delle condizioni di vita);
  2. la modifica sia formalizzata in sede protetta ai sensi dell’art. 2113 c.c. (a titolo esemplificativo: sede arbitrale ex artt. 412 ter e quater c.p.c.; commissioni di conciliazione ex art. 410 c.p.c. etc.).

Tali presupposti assurgono a requisiti di liceità della riducibilità della retribuzione, che devono tutti coesistere per consentire la diminuzione salariale, e al di fuori dei quali è illegittima qualsivoglia modifica in pejus decisa dal datore di lavoro.

(3) Ogni manovra retributiva passa per una modifica delle mansioni

Ad avviso di chi scrive, oggi, ogni riduzione retributiva deve essere necessariamente correlata a una modifica di mansioni (comma 6) e non può essere fine a se stessa.

La nuova rubrica dell’art. 2103 c.c. è “Disciplina delle mansioni” e non più “Prestazione del lavoro” a confermare che tale norme disciplina le mansioni. La possibilità di riduzione di retribuzione prevista dal comma 6 attiene comunque a modifiche di mansioni.

Del resto l’art. 1, comma 7, lett. e) l. 183/2014 (legge delega dei decreti jobs Act) circoscrive l’intervento delegato al Governo alla disciplina delle mansioni mentre non autorizza interventi normativi che consentono modifiche della retribuzione svincolati dalla revisione della disciplina delle mansioni.

Interessante un passaggio della nostra sentenza nel quale si legge: “se neppure l’esecuzione di mansioni deteriori rispetto a quelle pattuite (ndr: salvo il caso del comma 6) può portare ad una diminuzione della retribuzione, a maggior ragione, la previsione dello svolgimento delle medesime mansioni non può indurre a ritenere che sia consentita una tale diminuzione”.

(4) La giusta causa di dimissione: sostanza e tempestività

La Corte d’Appello ha riconosciuto  la legittimità delle dimissioni rassegnate dal Dirigente per giusta causa, a nulla rilevando il lasso temporale intercorso tra la comunicazione aziendale di riduzione della retribuzione e le dimissioni medesime.

Dirimenti sono stati i seguenti fattori:

  1. le dimissioni erano state presentate a seguito della diffida ad adempiere del lavoratore alla Società e solo dopo la scadenza del termine ivi indicato, in assenza di riscontro aziendale; 
  2. inoltre, pochi mesi dopo la comunicazione di revisione in peius del trattamento economico, la Società ha ulteriormente diminuito la retribuzione attraverso la revisione del trattamento dell’autovettura aziendale.

Pertanto “a fronte di un comportamento lesivo dei diritti del dipendente, non cessato neppure al ricevimento della specifica diffida, al dirigente non è rimasto che porre fine al rapporto di lavoro, in reazione al perdurante inadempimento della datrice di lavoro. Il comportamento datoriale viene ad integrare la giusta causa di dimissioni, non potendosi pretendere che il lavoratore continuasse a prestare la propria attività senza percepire la dovuta retribuzione”.

Scarica Corte d’Appello di Milano 15 gennaio 2020 n. 1974, pres. Trogni rel. Poli

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