– a cura di Angelo Beretta – Gennaio 2020 –
Nell’era digitale – dove diventa sempre più facile salvare su dispositivi di memorizzazione esterni copie di intere cartelle o porzioni di server, dove la tematica dell’archiviazione non è più data dai volumi di spazio ma dalla qualità delle informazioni – occorre fermarsi un attimo per capire il senso di quanto disposto dall’art. 24 della Costituzione in tema di diritto di difesa, soprattutto il primo e il secondo comma, i quali prevedono che:
“Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento”.
Quali documenti possono essere “portati fuori” dall’azienda?
Cosa è legittimo dire ai propri legali difensori?
In quale modalità è lecito agli avvocati produrre in giudizio dei documenti per esercitare il diritto di difesa?
Vi segnaliamo oggi Tribunale di Milano 08/01/2020, est. Ravazzoni , relativa a un caso del quale ci siamo occupati.
Un dirigente, dipendente di una società quotata in Borsa e formalmente responsabile delle attività strategiche della stessa, ha agito in un giudizio, con la nostra assistenza, per veder accertata l’esistenza di un demansionamento.
Al fine di dare prova dell’avvenuto demansionamento, è stato prodotto in giudizio uno scambio di email da cui risulta che la società – dopo aver comunicato al dirigente il prezzo da indicare nell’ambito di una gara per l’acquisto di un ramo d’azienda – decideva di modificarlo sensibilmente senza dare alcuna informazione al dirigente.
Nel depositare i documenti, venivano obliterati i riferimenti al nome del progetto, al nome e alla nazionalità della società da cui acquistare il ramo, mentre venivano lasciati i riferimenti alla quantificazione della riduzione del prezzo e alla conseguente percentuale (al fine di consentire al giudice di apprezzare che la riduzione era rilevante sia in termini assoluti (milioni di euro di differenza) sia in termini di percentuale (-30%).
Sulla base di questa documentazione prodotta in giudizio, la società procedeva al successivo licenziamento per giusta causa ritenendo la violazione da parte del nostro assistito del vincolo fiduciario, derivante dalla diffusione di notizie riservate tanto ai legali del dirigente, quanto a soggetti esterni alla società.
Il Tribunale di Milano ha ripreso quanto già indicato dalla Suprema Corte in merito al diritto di difesa evidenziando che:
“(…) il lavoratore che produce in una controversia di lavoro copia di atti aziendali riguardanti direttamente la propria posizione lavorativa non viene meno ai doveri di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c. … il diritto di difesa costituzionalmente garantito dall’art. 24 Cost., sussiste anche in capo a chi non abbia ancora assunto la qualità di parte in un procedimento penale … A maggior ragione ciò deve valere riguardo a documenti prodotti nel corso d’un giudizio civile, avendo l’attore il diritto di suffragare le proprie affermazioni mediante prova testimoniale e/o produzione di documenti”.
La produzione in giudizio di un documento – specie se obliterato in molti degli elementi maggiormente sensibili e in merito al quale non vi sono problemi legati ad un eventuale impossessamento illegittimo, visto che nel caso di specie le email erano state inviate al dirigente stesso – non integra il concetto di giusta causa e/o di giustificato motivo di licenziamento:
“(…) rispondendo la condotta in discorso alle necessità conseguenti al legittimo esercizio d’un diritto e, quindi, essendo coperta dalla scriminante prevista dall’art. 51 c.p., di portata generale nell’ordinamento e non già limitata al mero ambito penalistico. La valenza generale, nell’ordinamento giuridico, della scriminante dell’esercizio del diritto di difesa assorbe ogni altra considerazione sulla natura riservata o meno dei documenti”
Il Giudice nell’accertare la conseguente illegittimità del recesso datoriale ha inoltre valutato la condotta del datore di lavoro, accertandone la particolare scorrettezza, avendo elevato una contestazione disciplinare e il conseguente licenziamento basata su fatti insussistenti nel corso di un procedimento giudiziale.
Pare evidente che, avendo provveduto a licenziare il dirigente nel corso del procedimento giudiziale sul demansionamento, la società ha annichilito il ruolo costituzionale del giudice, il quale ha potuto condannare il datore di lavoro esclusivamente al risarcimento economico e non anche alla assegnazione di mansioni equivalenti a quelle in precedenza assegnate.