Cass. 23 Febbraio 2016 n. 3485
Le esigenze di tutela del diritto alla conservazione del posto sono prevalenti su quelle di salvaguardia della professionalità del lavoratore, sicché è esclusa la legittimità del licenziamento per sopravvenuta infermità permanente allorquando sia possibile altra attività riconducibile non solo a mansioni equivalenti, ma anche, in difetto di altre soluzioni, a mansioni inferiori.
La Suprema Corte ha stabilito che è illegittimo il demansionamento del lavoratore anche in caso di soppressione delle mansioni da lui precedentemente svolte, nel caso in cui – ante Jobs Act – non sia intercorso un preventivo accordo scaturito da una inevitabile tra licenziamento e abbassamento di livello. Ha così rigettato il ricorso di una azienda automobilistica contro la sentenza della Corte d’appello che l’ha condannata ad assegnare ai lavoratori demansionati funzioni equivalenti ai rispettivi inquadramenti e a risarcire il danno da loro patito, quantificato per ciascuno nella misura del 30 per cento della retribuzione mensile netta, con decorrenza dalla data di assegnazione ad altro servizio. I suddetti lavoratori, infatti, a causa di sopravvenute condizioni fisiche comportanti l’inidoneità alle mansioni precedentemente svolte, erano stati adibiti ad attività di pulizia, benché in precedenza avessero svolto attività di produzione, caratterizzate da specializzazioni operative e da specifiche professionalità, e senza che agli stessi venisse offerta la possibilità di possibili ricollocazioni in grado di salvaguardarne la professionalità in loro possesso.
Gli Ermellini hanno chiarito che l’art. 2103 c.c., nella versione di testo applicabile alla fattispecie ed antecedente alle modifiche introdotte dall’art. 3 del D.lgs. n. 81 del 15 giugno 2015, consente all’imprenditore l’esercizio del potere conformativo della prestazione richiesta al lavoratore, al fine di adeguare l’organizzazione alle mutevoli esigenze dell’impresa, ma a condizione che l’adibizione fosse a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte. L’art. 2103 c.c., nel testo vigente ratione temporis, “comminava la nullità di ogni patto contrario rispetto al divieto inderogabile di assegnare il lavoratore a mansioni inferiori”, a differenza di quanto previsto dalla novella introdotta dal citato D.lgs. n. 81 del 2015 che consente mutamenti in peius sia al potere unilaterale dell’imprenditore, anche abilitato dalla contrattazione collettiva, sia ad accordi individuali in sede protetta.