Cass. 3 marzo 2016 n. 4211
In merito alla responsabilità datoriale nei danni provocati dal fumo passivo ai propri dipendenti, l’impresa, nonostante abbia provveduto ad emanare direttive comportamentali sul divieto di fumo nei locali aziendali, è comunque responsabile dei danni provocati dal fumo passivo ai propri lavoratori non fumatori, qualora non abbia irrogato sanzioni disciplinari in applicazione alle succitate direttive.
La Cassazione ha stabilito che il datore di lavoro deve battersi con ogni forza contro il fumo di sigarette in ufficio, se non vuole rischiare la condanna al risarcimento del danno non patrimoniale al dipendente per l’esposizione al fumo. Sul punto, gli Ermellini hanno sentenziato che non è sufficiente dimostrare di aver diramato circolari e direttive ad hoc, che “non costituiscono, evidentemente, misura idonea a contrastare i rischi da esposizione da fumo passivo” se non si fanno rispettare con sanzioni, il tutto in violazione dell’obbligo ex art. 1218 cod. civ.: tali disposizioni contro il fumo nelle redazioni dei telegiornali e in tutti gli ambienti di lavoro della tv pubblica rimanevano “praticamente inattuate” perché l’azienda televisiva aveva scelto la strada del “cosiddetto approccio persuasivo e non repressivo”.
Ne è derivata, pertanto, la conferma del risarcimento del danno biologico e morale da fumo passivo liquidato nella misura di oltre 31 mila euro dalla Corte d’appello di Roma in favore della ex conduttrice.