– Luglio 2021 – a cura di Filippo Capurro –
Tribunale di Milano 28/05/2021 est. Pazienza
La sentenza che oggi segnalo ha ritenuto applicabile la tutela prevista dall’art. 18 L. 300/1970, anche ai lavoratori assunti con contratto a tempo determinato “prima” dell’entrata in vigore del d.lgs. 23/2015 (Jobs Act Licenziamenti) e convertiti in contratto a tempo indeterminato successivamente.
In particolare la questione muove dall’art. 1, comma 2, d.lgs. 23/2015 recita: “Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano anche nei casi di conversione, successiva all’entrata in vigore del presente decreto, di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato.”.
Il Tribunale di Milano, perviene alla sua decisione dopo un lungo e complesso iter procedurale che ha comportato anche un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, sia in riferimento alla clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18/03/1999 e allegato alla direttiva 1999/70/CE (lavoro a tempo determinato), sia agli arti. 20 e 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e alla direttiva 98/59/CE (licenziamenti collettivi).
Quanto all’art. 4 è affermato che tale clausola “deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che estende un nuovo regime di tutela dei lavoratori a tempo indeterminato in caso di licenziamento collettivo illegittimo ai lavoratori il cui contratto a tempo determinato, stipulato prima della data di entrata in vigore di tale normativa, è convertito in contratto a tempo indeterminato dopo tale data”.
Quanto al secondo quesito (artt. 20 e 30 della Carta e alla direttiva 98/59/CE) “una normativa nazionale che prevede l’applicazione concorrente, nell’ambito di una stessa e unica procedura di licenziamento collettivo, di due diversi regimi di tutela dei lavoratori a tempo indeterminato in caso di licenziamento collettivo effettuato in violazione dei criteri destinati a determinare i lavoratori che saranno sottoposti a tale procedura non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 98/59/CE del Consiglio, del 20 luglio 1998, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi, e non può, pertanto, essere esaminata alla luce dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e, in particolare, dei suoi articoli 20 e 30”.
La sentenza è pronunciata nell’ambito di un doppio livello interpretativo, di conformità al diritto comunitario e costituzionalmente orientato.
Anzitutto il giudice rileva che la Corte di Giustizia ha stabilito che la tutela accordata a un lavoratore in caso di licenziamento illegittimo rientra nella nozione di “condizioni di impiego” ai sensi della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro, con conseguente applicazione del “principio di non discriminazione”.
ll Tribunale procede dunque a verificare se l’introduzione di tutele più attenuate in caso di licenziamento illegittimo dei lavoratori inizialmente assunti a termine sia giustificata, e se abbia davvero incentivato le assunzioni a tempo indeterminato.
Ciò viene escluso richiamando alcuni studi statistici sull’occupazione in Italia che rivelerebbero come il risultato dopo alcuni anni di applicazione del Jobs Act può dirsi deludente, essendosi assistito alla massiva utilizzazione dei contratti a termine.
Pertanto, secondo il Tribunale, la differenza di trattamento a seconda del tipo di contratto utilizzato all’atto dell’assunzione non può trovare razionale e oggettiva giustificazione, non realizzando la norma alcun equo contemperamento tra la stabilizzazione dei rapporti di lavoro a termine e la diminuzione delle tutele, andando quindi disapplicata.
Il Giudice, nel respingere la richiesta della ricorrente di sollevare questione di legittimità costituzionale della norma sotto il profilo dell’eccesso di delega, ha fornito un interpretazione costituzionalmente orientata dell’efficacia temporale della conversione, equiparando la conversione volontaria del contratto di lavoro alla conversione ex lege, per nullità della clausola appositiva del termine (rif. a Cass. 16/01/2020, n. 823) e stabilendo che entrambe le categorie di lavoratori “convertiti” non possano essere considerati “nuovi assunti”.
La norma di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs. 23/2015 viene in conclusione disapplicata in quanto il tipo contrattuale utilizzato in origine dalle parti genera una discriminazione nel livello di tutela in caso di licenziamento illegittimo e in definitiva il lavoro viene riconosciuto e tutelato diversamente a seconda della sua inerenza ad un rapporto a tempo determinato o a tempo indeterminato.